domenica 22 novembre 2015

il manifesto 22.11.15
Il poeta Ashraf Fayadh condannato a morte in Arabia saudita: «Non crede in dio»


Sentenza scandalosa in Arabia Saudita. Stavolta il caso riguarda Ashraf Fayadh, poeta e artista di origine palestinese condannato a morte dal tribunale di Abha martedì scorso con l’accusa di «apostasia», ovvero di «abbandono o rifiuto dell’Islam». In pratica ha detto che dio non esiste.
La decisione, ancora appellabile poiché emessa da un tribunale minore, inasprisce la sentenza emessa in precedenza lo scorso anno, che condannava Fayadh a quattro anni e 800 frustate per il suo comportamento «deviato».
Secondo Adam Coogle, ricercatore di Human Rights Watch, l’episodio scatenante sarebbe stato una discussione culturale in un caffè di Abha, durante il quale Fayadh avrebbe detto «cose contro Dio» denunciate da un testimone. A rincarare la dose, uno studioso di Islam avrebbe bollato come «blasfeme» alcune poesie pubblicate nel 2008.
In aula Fayadh si è detto pentito e ha chiesto scusa alla comunità. Non è bastato al giudice che lo ha condannato a morte: «Il pentimento è per dio».
La pena capitale, prevista nel regno wahhabita nella sua forma “più umana” di decapitazione con la spada, è attribuita per reati che vanno dalla rapina a mano armata, all’omicidio, al traffico di stupefacenti e allo stupro.
Anche l’apostasia figura nella lista, sebbene secondo Human Rights Watch la relativa condanna venga emessa in casi molto rari: quest’anno se ne conterebbe “solo” un’altra, a fronte di centinaia di sentenze per reati di spaccio di droghe leggere e omicidio. Numeri che fanno paura, secondo le organizzazioni internazionali: secondo Human Rights Watch Riyadh quest’anno avrebbe giustiziato oltre 150 persone, cifre da primato rispetto alle ultime due decadi. Tra le mani del boia, oltre ai sopracitati “criminali”, finiranno anche i dissidenti come gli al-Nimr, accusati di terrorismo per le proteste a cui avevano preso parte nel 2011–2012.
La letteratura, poi, è particolarmente osteggiata dalle autorità saudite, che temono il potere che ha la parola scritta di svegliare le coscienze e generare dissenso: proprio per questo lo scorso anno, durante l’annuale fiera internazionale del libro nella capitale, il governo aveva fatto sequestrare migliaia di libri di oltre 400 autori considerati portatori di “messaggi blasfemi” e per questo banditi.
Tra questi, oltre ai volumi sulla condizione femminile e sulle primavere arabe, figuravano gli scritti di Mahmoud Darwish, il poeta palestinese che ha fatto della sua penna la sua arma per la lotta per la libertà.