mercoledì 11 novembre 2015

Il manifesto 11.11.15
Il capo di stato maggiore contro Jeremy Corbyn
Regno unito. Polemica dell’esercito contro il pacifismo del leader Labour
di Leonardo Clausi


LONDRA  Avere una costituzione non scritta è assai ecologista, permette un prezioso ed encomiabile risparmio di carta. Ma provoca anche effetti imprevisti e indesiderabili, come lo scontro di qualche giorno fa tra Jeremy Corbyn — che nonostante sia stato fasciato in frac istituzionali e forzato a indossare papaveri di plastica (i beneficenti «poppies» in solidarietà ai caduti di tutte le guerre) sul bavero della giacca, si ostina a mantenere le sue intollerabili posizioni antinucleariste — e il capo di stato maggiore dell’esercito Nicholas Houghton.
Domenica mattina, ospite di Andrew Marr ai microfoni della Bbc, Houghton si è detto «preoccupato» che Corbyn diventi Primo ministro qualora quest’ultimo persista nella sua determinazione a «non sganciare la bomba» per proteggere la patria che si trovi in pericolo nucleare.
L’attacco, che si riferisce alla dichiarazione fatta dal segretario neoeletto alla Bbc settimane orsono e che ha provocato scalpore dentro la destra Labour, oltre naturalmente a tutti i media moderati, è l’ennesimo siluro sparato dall’establishment britannico alla nave laburista, in acque assai movimentate sin da quando il filopacifista ex-deputato di Islington North è finito al timone.
Cosa grave davvero, perché in ogni repubblica liberal democratica che si rispetti, i militari dovrebbero obbedire alla volontà popolare. Si tratta di un assioma teoricamente inviolabile nell’Occidente sviluppato e mai nella sua lunga storia un rappresentante della culla del parlamentarismo si era permesso di andare così lontano. Ma prevenire è meglio che curare, si saranno detti nel regio esercito davanti alla prospettiva innominabile che Corbyn possa avvero vincere le elezioni. Segno che non la reputano poi tanto una missione impossibile.
Altrettanto possibile David Cameron considera la sua, di missione. Così ha definito il primo ministro la rinegoziazione della presenza del Regno Unito nell’Unione europea contenute in una letterina indirizzata al presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk presentata martedì a Chatham House. Risibilmente contestato il giorno prima a un congresso di businessmen da giovanissimi imprenditori in acne e cravatta della Leave campaign, uno dei due comitati per l’uscita dall’Ue, il Primo ministro ha formalmente reiterato i petulanti desiderata britannici per Bruxelles.
È una lista della spesa riassumibile in quattro punti: proteggere il mercato unico europeo, — e quindi il bengodi finanziario tra le principali cause del crash del 2008 — che è la City di Londra, cosicché i 19 paesi dell’eurozona non si avvantaggino a scapito di quelli che non ne fanno parte; una maggiore competitività economica, ovvero più laissez-faire e deregulation ancora non ben definiti, ma la cui adozione avrebbe le solite ricadute nefaste sul lavoro (anche se i diritti dei lavoratori non sono ancora stati presi specificamente di mira: e questa è questione dirimente anche per lo schieramento per il sì o il no all’interno del Labour ); proteggere il Regno Unito dalle conseguenze di un’Unione «sempre più stretta» implicita nel Trattato di Roma, che finirebbe per sottrarre sovranità.
E infine il quarto e più urgente, perché trampolino dell’offensiva alla sua destra sferrata dall’Ukip e dei suoi backbenchers euroscettici più sfegatati: la restrizione all’accesso di migranti economici dell’Ue ai sussidi del welfare per i primi quattro anni dal loro ingresso. Restrizione giustificata da Cameron in toccanti termini umanitari: l’emorragia di lavoratori qualificati finirebbe per ostacolare lo sviluppo dei paesi di provenienza. Nel discorso di accompagnamento alla lettera ha poi aggiunto di voler eliminare lo Human Rights Act introdotto dal Labour, che rappresenterebbe un’intollerabile ingerenza della Corte europea dei diritti umani in questioni esclusivamente pertinenti alla giurisprudenza nazionale.
Quello che Napoleone Bonaparte riteneva fosse un insulto, quando sprezzante tacciava gli inglesi di essere una «nazione di bottegai», per Cameron è ovviamente un complimento. Lo dimostra la retorica del suo discorso, abbondante di «approccio pratico e non ideologico», «di testa e non di cuore». Deluderemo i partner europei, ma che ci volete fare, noi siamo e siamo sempre stati così: rigorosamente pratici, coi piedi per terra, demistificatori naturali.
A cinque minuti dall’aver pronunciato il suo discorso, è stato attaccato dalla destra del partito per non aver osato abbastanza, dall’ex-presidente del parlamento Europeo Juncker, (del quale Cameron aveva cercato in tutti i modi di boicottare l’elezione) che ha definito la richiesta di bandire ogni futura riforma «assai problematica» e da quello in carica, Martin Schulz, che ha definito potenzialmente illegali le misure restrittive nei confronti dei migranti europei.