Corriere 30.11.15
La Cina riforma l’esercito per tornare protagonista
di Guido Santevecchi
È una decimazione dei ruoli superati e inutili quella che il presidente cinese Xi Jinping ha appena presentato ai generali dell’Esercito popolare di liberazione. Nei prossimi due anni l’organico, che ora è di 2,3 milioni di unità, sarà ridotto del 13%: significa che 300 mila militari saranno pensionati o licenziati. Il bisturi di Xi taglierà soprattutto tra le forze di terra che ora con la loro massa di 1,4 milioni di soldati non serve più gli interessi di una nazione che vuole dominare i mari a Sud e a Est. Addio anche alle elaborate coreografie delle molte compagnie artistiche che sono belle ma non fanno certo impressione agli avversari della Cina.
La riforma prevede uno snellimento dei comandi e un coordinamento centrale che farà perdere il posto a molti ufficiali. Ci sono resistenze, naturalmente. In un paio di articoli, il Quotidiano dell’Esercito ha avvertito che i tagli portano il rischio di instabilità sociale (come dire che qualcuno abituato a usare le armi potrebbe innervosirsi di fronte al licenziamento). Xi ha risposto convocando 200 generali per tre giorni di conferenza e ha detto loro che c’è solo un obiettivo della riforma: la capacità di combattere, tutto ciò che non serve a questo scopo sarà aggiustato, compresso o eliminato. Tra l’altro, per stringere il controllo del partito comunista sull’esercito, già decine di ufficiali sono stati degradati per corruzione. C’è anche un segnale importante diretto alle potenze regionali dell’Asia-Pacifico e agli Stati Uniti in questa riforma: Pechino vuole un esercito meno numeroso ma più armato e moderno che «corrisponda alla statura internazionale del Paese». E proprio recentemente è stato annunciato che la Cina ha negoziato con Gibuti un accordo per costruire una base navale sulla costa del Corno d’Africa, 4.800 miglia lontana. Una base d’appoggio logistico per consentire alla Cina di proiettare la sua forza in teatri «caldi».