Corriere 27.11.15
«Nazioni sorelle» Ma Renzi offre pochi aiuti a Parigi (e forse in Africa)
di Marco Galluzzo
ROMA «Siamo due nazioni sorelle», ha detto ieri mattina Renzi all’Eliseo. Ma questo legame di sangue, di vicinanza, di storia, rivendicato e ostentato dal nostro primo ministro non si è tradotto finora in un passo concreto verso la Francia. La Cancelliera Merkel aggiunge soldati in Africa, in modo da alleggerire l’impegno francese, annuncia che anche i Tornado tedeschi parteciperanno alle operazioni, per noi il nostro impegno in Iraq è già sufficiente. Ufficialmente, questo dicono a Palazzo Chigi e alla Farnesina, i francesi nulla ci hanno chiesto e noi nulla abbiamo dato.
Semplicistica, forse, la ricostruzione ufficiale della visita nasconde sicuramente delle discrepanze. Nelle ultime ore i ministeri della Difesa dei due Paesi sono stati in contatto, e non è un segreto che i nostri militari vorrebbero una sorta di upgrading del nostro impegno. Non è un segreto che sono stati presi in considerazione sia un aumento del nostro contingente in Libano, sia una presenza in Mali, in entrambi i casi per consentire ai francesi di dispiegare i loro militari in altri teatri, in primo luogo in Siria e Iraq ovviamente, contro quello Stato islamico che «va distrutto», secondo un obiettivo che almeno in questo caso è comune e condiviso.
Resta la sensazione di una situazione sfilacciata, in cui alcune concessioni, o impegni concreti, implicano delle contropartite. Che magari stentano ad arrivare. Renzi è arrivato a Parigi portando la disponibilità di una completa condivisione del lavoro dei servizi di intelligence, sembra che anche questa volta, pur ferita, la Francia, per bocca di Hollande, non abbia rinunciato a fare ricorso a una presunta grandeur . Che in questo caso è sinonimo di rifiuto o di isolazionismo, a seconda delle angolazioni o dei punti di vista.
Una cosa che il presidente francese ha concesso a Renzi è stata la citazione della Libia, il riconoscimento esplicito che può diventare una seconda Siria, ma anche in questo caso si fa fatica a riempire di contenuti il passo avanti. Una dichiarazione rimane agli atti, ma può anche essere priva di conseguenze. E in questo caso le richieste insistenti della diplomazia italiana, l’appello a tutti gli interlocutori a non sottovalutare lo scenario libico, sono finora rimaste senza esiti. Del resto il fallimento della mediazione dell’inviato speciale dell’Onu non è stato al momento sostituito con un’altra proposta, nemmeno di marca italiana.
Forse nei prossimi giorni verrà annunciato qualcosa, i contatti fra i ministri della Difesa italiano e il collega francese continueranno, ma non ci sarà un cambio delle regole di ingaggio per i nostri Tornado che operano in Iraq, almeno ad ascoltare quello che raccontano a Palazzo Chigi: bastano e avanzano gli sforzi che stiamo già dispiegando; il che significa impiego dei nostri aerei solo per una fase di ricognizione degli obiettivi, a cui si aggiunge un contingente dei carabinieri che è appena stato aumentato, da 500 a 750 unità, per addestrare l’esercito iracheno.
D’altra parte, ha puntualizzato Renzi, l’Italia è già in campo in molti teatri: «Siamo impegnati in molti Paesi, tra i quali Libano, Iraq, Afghanistan, Kosovo. In Africa abbiamo alcuni interventi, come la Somalia». Come dire: più di questo non possiamo, almeno in un contesto in cui manca una strategia di lungo periodo.
È una posizione che ha molti punti di contatto con quella degli Stati Uniti, che pure guidano, almeno sulla carta, le operazioni contro l’Isis, una posizione che stamane avrà un riscontro concreto nell’incontro che il nostro presidente del Consiglio avrà con il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a Roma. Per il resto, più di ogni commento, vale l’indiscrezione che si raccoglie al nostro ministero della Difesa, sui francesi: «Vogliono fare tutto da soli...».