lunedì 16 novembre 2015

Corriere 16.11.15
Gilles Kempel
«Il loro obiettivo è lo scontro totale. I terroristi vogliono l’Europa xenofoba»
intervista di Lorenzo Cremonesi


«I sis vuole lo scontro frontale per la conquista dell’Europa. Non mi stupisce che possa aver lasciato un finto passaporto di immigrato siriano sui luoghi dei massacri di Parigi. Sa bene che ciò scatenerà i gruppi xenofobi della destra europea contro i migranti e contro il mondo islamico tout court. Per reazione, diversi settori tra i moderati musulmani saranno quindi spinti nelle braccia dei gruppi radicali, avvicinando la battaglia finale. È la stessa logica del tanto peggio tanto meglio che ha visto Bashar al Assad favorire Isis contro i gruppi moderati delle proteste nel 2011, o tra le due Guerre mondiali i comunisti guardare di buon occhio a nazisti e fascisti in quanto utili per far esplodere le contraddizioni del capitalismo e avvicinare lo scoppio della rivoluzione».
Con il consueto fare lucido e disincantato il professor Gilles Kepel analizza gli attentati nella capitale francese. La sua lunga esperienza di massimo studioso del radicalismo islamico sin dai primi anni Ottanta, sia in Medio Oriente che in Europa, lo spinge ora a guardare con attenzione al retaggio delle vicende coloniali algerine e all’estremismo di ritorno tra i figli degli immigrati in Francia. Un fenomeno che lui e i suoi studenti alla facoltà di Scienze Politiche definiscono «rétro-coloniale» e su cui sta scrivendo un libro.
Professore, la polizia francese ha identificato tra i terroristi il 29enne Omar Ismail Mostefai. Cosa le suggerisce?
«Mostefai è nato in Francia, figlio di immigrati algerini, noto per un passato costellato di piccoli crimini, da un paio d’anni era in contatto con i circoli radicali islamici. Le notizie su di lui sono già sui media. Ma è interessante notare che egli è il tipico rappresentante di questi franco-algerini di seconda, terza o quarta generazione, spesso disoccupati, poco scolarizzati, abituati a vivere di espedienti ai margini. Come lui sono stati tanti altri coinvolti in violenze, aggressioni e terrorismo negli ultimi tempi: quello che ha provato l’attentato al treno, quell’altro ad attaccare il padrone dell’azienda dove lavora, un terzo che aggredisce nei luoghi ebraici per farsi notare dai capi di Isis in Siria. Gli stessi aggressori di Charlie Hebdo in gennaio avevano nelle loro vicende personali rapporti più o meno diretti con la comunità e la storia algerine».
Erano prevedibili questi attentati?
«Erano stati previsti. La polizia, gli esperti, le autorità competenti li ritenevano inevitabili. Ma si pensava sarebbero stati sferrati al momento del summit Onu pianificato a Parigi a fine mese».
Similitudini e differenze con il terrorismo di gennaio?
«I luoghi sono simili, nella zona tra il decimo e undicesimo arrondissement, abitata da classe media, puntellata di uffici, ristoranti, caffè, con una cospicua presenza di popolazione di origine araba. Non si dimentichi che il Bataclan si trova a 500 metri dalla sede di Charlie Hebdo . E questo ci dice almeno una cosa: Isis non teme di tornare a colpire due volte negli stessi paraggi. I terroristi sanno che possono muoversi impuniti. La grande differenza è però che in gennaio i terroristi hanno colpito «nemici riconosciuti». Ai loro occhi c’era un motivo ben chiaro per sparare ai giornalisti del periodico che aveva offeso l’Islam e contro gli ebrei. E infatti sui social media di area islamica in Francia e all’estero hanno raccolto plausi e consensi massicci. Tutto diverso è però sparare alla cieca contro civili anonimi nei luoghi pubblici. È la prima volta che non si colpisce un obbiettivo preciso in Francia. Sono certo che alla fine i musulmani tra le vittime rispecchieranno le percentuali che ci sono nella popolazione, tra il 5 e 10 per cento».
Cosa significa?
«Probabilmente gli stessi responsabili di Isis si sono subito accorti di aver commesso un errore. Con i miei studenti che seguono i social media islamici abbiamo visto che le reazioni all’attacco sono state poche, per lo più fredde o negative. Nulla a che vedere con le masse di gennaio che plaudivano alla morte dei vignettisti «blasfemi», o che scendevano in piazza per dire che loro non erano Charlie Hebdo. Si spiega adesso così il comunicato di Isis, che racconta di avere colpito i «luoghi della depravazione dei crociati». A ben leggere, sembra quasi un tentativo un poco goffo di giustificarsi a posteriori».
E delle capacità militari dei terroristi?
«Sono un gruppo misto. Chiaramente le cinture bomba erano fatte in modo amatoriale. Credo che loro volessero causare molte più vittime, ma in un paio di casi hanno ucciso solo se stessi. Quelli che hanno sparato invece lo hanno fatto con la calma e la precisione di gente addestrata. I testimoni dicono che sembrava fossero in un videogioco».
Le conseguenze politiche ?
«In Europa portano acqua al mulino del campo anti-migranti. In Francia il Fronte nazionale è già in netta crescita e otterrà ottimi risultati alle elezioni regionali di dicembre e in vista delle presidenziali del 2017. Ma è esattamente ciò che Isis vuole. Più gli europei diventeranno xenofobi e più i musulmani simpatizzeranno per il Califfato. Isis vuole rompere qualsiasi fronte di solidarietà tra i musulmani ed il resto della popolazione. L’obbiettivo è la guerra totale, non il dialogo».