Repubblica 6.10.15
L’allarme degli studiosi italiani
“Non è una disciplina da yes-men per questo vogliono cancellarla”
di Raffaella De Santis
Un impoverimento che non ci è estraneo: «Negli anni ho notato un progressivo deterioramento — racconta Esposito — Nelle università c’è ormai la tendenza ad inserire i corsi di filosofia dentro quelli di pedagogia. Conta più il pedagogo che lo studioso ». Eppure, come fa notare Remo Bodei «la filosofia serve a creare la nostra personalità, ci aiuta a costruire l’identità, ci dà le coordinate per orientarci nel mondo. Senza essere un fautore della bottega filosofica, credo sia un errore ciò che sta accadendo in Europa. In Germania si studia filosofia solo nelle scuole di élite, mentre sono i valori umanistici a darci uno sguardo non specialistico».
Qualche anno fa abbiamo assistito ad un’improvvisa rinascita di interesse. Il filosofo d’un tratto ha preso il posto dello psicologo, è diventato un life coach, un guru, un maestro di vita. Per Esposito è proprio lì il segno dei tempi: «Il pensiero implica un lavoro, l’incontro con un ostacolo, non può essere usato per risolvere problemi. Ma oggi piace di più la pop filosofia».
Un senso comune piuttosto riduttivo associa la filosofia a ciò che è astratto (la classica immagine del filosofo con la testa fra le nuvole). Come se il sacrificio avvenisse in nome di un sapere più pratico e pragmatico. I filosofi sanno che non è così. Massimo Cacciari è preoccupato e spiega bene le implicazioni pro- fonde dello studio filosofico: «La filosofia è una ricerca sulla nostra storia, sul nostro destino, indaga le ragioni profonde della storia della civiltà. È molto concreta, tutt’altro che astratta». E Maurizio Ferraris, poco incline al postmoderno e sostenitore di un “nuovo realismo” filosofico, ne parla come di un «antidoto contro dogmatismi, integralismi e intolleranze. Una nazione che sappia di filosofia — dice Ferraris — è una nazione che a livello diffuso è più aperta di una che non ne sappia niente. Detto questo, togliere la filosofia dai licei non comporterà la riduzione dei filosofi, come mostra il caso della Germania».
Poi su come la filosofia vada insegnata nelle scuole secondarie, i filosofi non si trovano sempre d’accordo. Per Ferraris l’approccio storico è quello più utile: «Meglio insegnare la storia della filosofia piuttosto che fare come i francesi che procedono per problemi filosofici. Così come è meglio insegnare la letteratura raccontando Dante, Petrarca e Boccaccio (e facendo leggerne i testi) piuttosto che invitando gli studenti a comporre endecasillabi su problemi teologici ».
Ma Cacciari avverte: «Se viene insegnata come una marcetta trionfale, passando da filosofo a filosofo, inanellando una catenina di opinioni, è un disastro. Altra cosa se la filosofia è una riflessione critica sul vocabolario della cultura europea, anche quella tecnico-scientifica ». Perché non è vero che scienza e filosofia sono antitetiche, è un altro luogo comune pensarle nemiche e credere di poter sacrificare la filosofia, ritenendola meno al passo con i tempi. Paolo Zellini, studioso che nei suoi libri ha indagato il rapporto tra matematica e filosofia, lo spiega bene: «Anche le formule filosofiche si capiscono meglio se si collegano alle formule matematiche. Quando Aristotele sostiene che l’ideale etico dell’uomo è nel giusto mezzo tra eccesso e difetto, sta utilizzando due categorie che tornano continuamente nei calcoli matematici». E tanto basta a vanificare anche l’argomento scienza contro discipline umanistiche.
Si può vivere senza filosofia? Giulio Giorello risponde: «Si può, certo, ma sarebbe una vita molto squallida. Da Platone ad Heidegger, la filosofia è un grande esercizio di libertà. E a chi fa notare che ci sono materie più “utili”, rispondo che è vero, ma la filosofia è utile proprio come esercizio superfluo dell’intelletto. Come diceva Re Lear “toglietemi tutto, ma non il superfluo” ». La conclusione di Cacciari è però amara: «Sta diventando opzionale tutto ciò che dà una prospettiva critica. La classe politica diventa ogni giorno più ignorante. È una tendenza generale, non solo italiana. Un processo irreversibile, non mi faccio nessuna illusione».