sabato 24 ottobre 2015

Repubblica 24.10.15
Migranti e lavoro, le sfide dell’Europa
di Andrea Manzella


NELLE “conclusioni” dell’ultimo Consiglio europeo, alla questione istituzionale sono state dedicate 5 righe; alla questione profughi, 5 pagine. È giusto così. Ma l’emergenza rifugiati non deve fare dimenticare che nell’Unione c’è anche un’emergenza istituzionale: che si rischia cioè la dis-unione se non si riesce a costruire una efficiente architettura di governo, mentre le crisi si accavallano. Per giungere a questo risultato non occorre cambiare i Trattati. Bastano quelli che ci sono e, in più, basta razionalizzare e coordinare le regole e i nuclei istituzionali che negli ultimi anni si sono utilizzati per far fronte ai disordini finanziari e alle tragedie umanitarie.
Ma governo “efficiente” non significa ricorso al solo metodo verticale, intergovernativo, tagliando fuori i parlamenti. Al contrario, la natura stessa delle crisi da superare: quella umanitaria dei profughi di massa, quella economica della disoccupazione, ci dice che governo efficiente significa un governo che abbia una forte base parlamentare. Vale per gli Stati, vale per l’Unione.
Non è solo questione astratta di osservare i “principi democratici” che i Trattati pongono a fondamento di tutto. Il fatto è che crisi dell’accoglienza e crisi del lavoro richiedono risposte, non solo efficaci ma anche rispettose delle molteplici condizioni sociali e “coscienze di luogo”. E questo implica la trasparenza delle misure adottate e la responsabilità per esse davanti ai parlamenti.
Basti pensare ai tanti aspetti conflittuali che marcano la questione dei profughi. Da un lato, il diritto all’accoglienza in base alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e delle stesse Costituzioni degli Stati-rifugio. Dall’altro, il diritto delle comunità di destinazione di conservare la loro identità civica, i tratti essenziali della loro vita normale: nei servizi, nella sicurezza, nel welfare. È difficile perciò che la questione dei profughi sia componibile con le misure — pur necessarie, pur urgenti — decise solo nella cittadella di Bruxelles. È questione troppo percorsa da paure, tradizioni, umori che richiedono, per essere conciliati, l’intera forza rappresentativa di tutti i parlamenti dell’Unione: quello europeo e quelli nazionali insieme. È una esigenza non solo di legittimazione di quel che si fa e si vuol fare. È la necessità di disporre di valutazioni di prossimità, di filtri delle pubbliche opinioni, di conoscenza dell’ humus in cui le misure di accoglienza dovranno radicarsi.
Sono decisioni che riguardano temi ipersensibili come la collocazione e il regime dei campi d’accoglienza, la polizia di frontiera, i ricongiungimenti familiari, le penose — e pur indispensabili — distinzioni tra profughi economici e politici, il diritto d’asilo e i provvedimenti di rimpatrio. È difficile arrivare a soluzioni condivise senza una cooperazione interparlamentare profonda.
Nell’ambito dei Trattati, già sono istituite conferenze interparlamentari: per la governance economica, per la politica estera e di difesa. In una materia ancor più delicata, sarebbe ragionevole che il nostro governo prendesse l’iniziativa di una conferenza interparlamentare per le questioni dell’immigrazione. Una sede legittimata al controllo e all’indirizzo di tutto il complesso amministrativo necessario per dare un ordine, di civiltà giuridica e umanitaria, all’odissea dei migranti.
La stessa necessità di cooperazione interparlamentare si avverte per l’altra grande crisi europea: quella del lavoro. C’è una concreta proposta del governo italiano per una assicurazione europea contro la disoccupazione. Si chiede la istituzione di un Fondo comune salva- lavoro nei Paesi dell’euro colpiti da gravi crisi occupazionali. Uno scudo di base per l’integrazione temporanea degli esistenti fondi nazionali contro la disoccupazione, alimentato da risorse comunitarie. Esso renderebbe l’economia reale dell’Unione capace di reagire alle crisi, senza la distruzione, spesso irreparabile, di forze di lavoro.
E non è solo rimedio per i Paesi, come il nostro, ad alto livello di disoccupazione. Il meccanismo potrebbe essere usato, contro il rischio di ondate di licenziamenti, anche da Paesi che hanno attualmente un basso tasso di disoccupazione. Muovendosi così, l’Unione disporrebbe di una “arma assoluta”, il simbolo di una concretissima e popolarissima solidarietà politica e sociale. Di essa vi è estremo bisogno contro la marea euro-ostile, provocata proprio dalla disoccupazione di massa dei senza speranza, che non credono più all’utilità dell’Unione.
Il nostro ministro dell’Economia, Padoan, l’ha avanzata nell’ultima riunione dei ministri finanziari. Ma al livello intergovernativo non c’è stata finora risposta. Una urgenza di tale importanza sarebbe certamente meglio avvertita dalla cooperazione, dall’alleanza tra i parlamenti d’Europa, strutturalmente in grado di vedere più lontano.
Come per il problema dei profughi, così per il problema della disoccupazione, la sensibilità dei parlamenti e dei loro corpi elettorali — così vulnerabili dai populismi antieuropei — è molto più acuta di quella dei governi, frenati da tecnicismi che nascondono spesso chiusure sovraniste. Insomma, crisi di questa natura, tanto legate al comune sentire popolare, non si governano senza coinvolgere, in composizione organica tra loro, i parlamenti: europeo e nazionali. Sparpagliati, ciascuno per sé, sono un problema moltiplicato per 28. In cooperazione, potrebbero essere invece la soluzione.