Repubblica 13.10.15
La scrittrice Elif Shafaz
Questo governo ci ha divisi. Le elezioni sono il banco di prova
NON RIESCO a smettere di piangere, mentre poco alla volta sono resi noti i nomi delle vittime. È un periodo di profondo dolore e cordoglio. Sono scossa da sentimenti di tristezza e rabbia, frustrazione e disperazione. Al tempo stesso, so che dobbiamo farci sentire, oggi più che mai. Non possiamo restare in silenzio. Alcune persone sono state uccise perché credevano nella pace e nella democrazia. Credevano nella possibilità di una coesistenza pacifica tra turchi e curdi. Da adesso in poi dobbiamo sentirci ancor più impegnati nei confronti della pace e della democrazia. Il magnifico popolo turco merita un futuro migliore.
La società civile ha reagito immediatamente. Studenti, attivisti, Ong, professionisti, l’ambiente imprenditoriale, i media… La gente è sconvolta. Ma è anche molto arrabbiata. Tanti sono insoddisfatti del governo. Dopo le elezioni di giugno c’era stato un certo ottimismo, quando quattro partiti sono riusciti a entrare in parlamento. È stata un’occasione d’oro per dar vita a una democrazia pluralista e a un nuovo inizio. Per la prima volta in molti anni, l’Akp ha perso la sua schiacciante maggioranza. Ma non si è formata una coalizione. Tutti sanno che l’Akp e il presidente Erdogan in particolare non hanno esercitato pressioni a sufficienza per far nascere una coalizione. Al contrario: hanno voluto indire un’altra elezione così da aumentare i voti a loro favore. Volevano avere un numero maggiore di rappresentanti in parlamento per cambiare la Costituzione e introdurre un sistema presidenziale. E così, a pochi mesi da quelle elezioni, la Turchia adesso deve tornare alle urne. L’economia ne ha risentito gravemente, la società si è polarizzata ancora di più, e le violenze e le tensioni sono aumentate in modo esponenziale. Dalle elezioni di giugno hanno perso la vita 700 persone. Di sicuro, la Turchia non aveva bisogno di elezioni così presto. In tutto il mondo il banco di prova dei governi è il modo col quale reagiscono a una crisi, a una tragedia, al terrorismo. La risposta del governo turco non è adeguata. Il governo non potrà unire la popolazione, perché si è estraniato da metà società. Il presidente non potrà unire la popolazione perché è un personaggio politico che crea divisione. Dopo gli attentati, alcuni membri dell’Akp hanno scritto tweet preoccupanti, i ministri hanno detto che non c’era stato alcun fallimento della sicurezza. Come possono dire una cosa del genere, dopo che sono state massacrate oltre cento persone? Ci sono stati eccome, fallimenti della sicurezza.
La Turchia è un paese profondamente diviso e il massacro di Ankara non farà che esacerbare la polarizzazione. C’è un’alta percentuale che sostiene Erdogan e continuerà a farlo. Ma c’è una percentuale ancora maggiore di gente alienata, delusa, ferita e sempre più insoddisfatta. È impossibile ora ricomporre questo divario. La paura genererà altra paura. La violenza genererà altra violenza. La vendetta porterà ad altra vendetta. È un circolo vizioso dal quale dobbiamo prendere le distanze. Invece di coesistenza e pace, è diventato normale parlare con un linguaggio politico aggressivo. Non appena leviamo qualche critica ci accusano di essere «traditori».
Come può fiorire la democrazia se non ci sono pluralità di voci e libertà di espressione? Sono molto pessimista se osservo i politici turchi. Sono più ottimista se penso ai giovani, alle donne, alle minoranze e alla società civile. Le libertà sono state decimate. I media filogovernativi continuano ad attaccare chiunque. In televisione intimidiscono chi esterna una critica. I veri giornalisti sono messi a tacere o uccisi, perdono il loro posto di lavoro, sono citati in tribunale, portati in giudizio, aggrediti e picchiati per strada da malviventi. L’unico modo per uscire dal tunnel è con la democrazia e la pace.
(Traduzione di Anna Bissanti)