martedì 13 ottobre 2015

Repubblica 13.10.15
Nobel all’economista dei poveri
Riconoscimento allo scozzese Angus Deaton, esperto di welfare, consumi e diseguaglianze sociali
“Ho passato la vita per fare del mondo un posto migliore. L’economia deve rispondere ai bisogni della gente”
“Le leggi le fanno spesso i ricchi e tutti gli altri debbono obbedire”
intervista di Eugenio Occorsio


ROMA «È tutta la vita che rifletto sul modo per fare del mondo un posto migliore. La ricca America che riesce ad azzerare le spaventose diseguaglianze al suo interno. La grande Europa che risolve il problema dei migranti. Paesi immensi come l’India che riescono a trasferire sulla loro popolazione che muore di fame le mirabolanti cifre di aumento del Pil ogni anno. E devo dirvi che c’è ancora tanto, tanto da fare». Angus Deaton, economista scozzese formatosi a Cambridge, docente di Affari internazionali a Princeton, New Jersey, insignito ieri del premio Nobel per l’economia, accoglie mite e timido la folla di cronisti e studenti accorsi ad ascoltare il suo pensiero. Che era già noto e rispettato perché il suo ultimo libro,
The great escape (uscito da poco in Italia dal Mulino con il titolo La grande fuga ) illustra gli studi sui consumi, sulla povertà, sul welfare, sulle diseguaglianze, che gli hanno dato grande popolarità e infine gli sono valsi il Nobel a 71 anni. Ma Deaton non si stanca con orgoglio e passione di ribadire quanti sforzi ancora servono. Ecco alcune risposte alle domande della conferenza stampa.
Professore, dopo tanti studiosi dei mercati e delle delle variabili macroeconomiche, con lei viene premiato uno studioso delle diseguaglianze attento alle dinamiche sociali. Che effetto le fa?
«Dopo che alle 6 mi aveva svegliato una voce dall’inconfondibile accento svedese, ho ricevuto tantissime telefonate di congratulazioni. E io rispondevo: per cosa? Ancora devo darmi dei pizzicotti per realizzare che non è un sogno. Vedete, è la dimostrazione che in un istituto in gran parte pubblico (Deaton insegna alla Woodrow Wilson School che ha un regime speciale rispetto all’intera Princeton che invece è privata,
ndr) è possibile raggiungere livelli d’eccellenza, che il Nobel non si vince solo nella grandi università. Con me ha vinto tutto l’istituto, e di una cosa sono felice più di tutte: sembrava che l’economia con la sua freddezza avesse soppiantato la filosofia, la storia, la cultura, la sociologia, la demografia, e invece no. Ecco la dimostrazione che è esattamente il contrario. L’economia non deve essere mai una scienza fredda, deve essere prima di tutto attenta ai bisogni della gente. Noi nel nostro istituto ci ispiriamo a questo principio».
Nell’anno di papa Francesco, dopo che è stato attribuito il Nobel a tre medici (Campbell, Omura e Youyou Tu) che lottano contro le malattie causate dalla povertà, viene premiato lei che ha fatto della lotta alla povertà una missione. Servirà a qualcosa?
«Me lo auguro con tutto il cuore. Forse ora ci metterei meno tempo a convincere la Banca Mondiale che non aveva senso tenere il livello per definire la povertà a 1,25 dollari al giorno. L’hanno portato a 1,90: certo, così ci sono più poveri ma è più realistico. Settecento milioni di persone lottano ogni giorno per sopravvivere, è inaccettabile. Così come non smetterò mai di battermi contro il fatto che in America, in Europa, in terre di apparente democrazia, le leggi le fanno molto spesso i ricchi e tutti gli altri debbono obbedire».
Lei non viene da una famiglia ricca, questo l’ha aiutato a sviluppare una particolare sensibilità?
«Mio padre era un minatore che non era andato più a scuola dopo i 12 anni. Io ero l’unico di tutta la famiglia che leggeva un libro a casa, ma lui mi ha sempre appoggiato. Sono riuscito a studiare a forza di borse di studio. Non dico che ognuno debba fare un’esperienza di povertà per migliorare, ma forse, chissà, un contributo alla volontà c’è stato».