domenica 4 ottobre 2015

il Sole 4.10.15
Il rallentamento della Cina non provocherà un’altra crisi
di Paul Krugman


La Cina è chiaramente in difficoltà economiche. Quanto dobbiamo preoccuparci, per le ripercussioni sull’economia mondiale dei suoi problemi? In linea generale vado rispondendo «Non molto» a questa domanda, anche se le ripercussioni potrebbero essere un problema più grave per Giappone e Corea del Sud.
Willem Buiter, analista di Citigroup, di recente ha ipotizzato che invece i problemi della Cina potrebbero rappresentare un bel guaio per gli altri Paesi e portare a una recessione globale (qui potete leggere la sua analisi: willembuiter.com/China2015.pdf).
Ha ragione ad affermare ciò?
Inizio dicendo che non credo sia il caso di preoccuparsi eccessivamente, e questo perché si dovrebbe tenere conto del fatto che l’economia cinese, anche se grande, tuttora rappresenta soltanto un’esigua percentuale dell’economia globale – quasi il 15% agli attuali tassi di cambio di mercato, che sia Buiter sia il sottoscritto riteniamo pertinente. Ora abbiamo a disposizione un modello molto vecchio, ma ancor oggi utile, per riflettere sulla semplice economia dell’interdipendenza: il moltiplicatore del commercio estero. Supponiamo che esista un mondo abitato da due paesi, A e B, e che A viva una recessione. Ciò provocherà un crollo delle importazioni di A da parte di B, e una conseguente contrazione per B. La contrazione in B determina a sua volta una riduzione delle importazioni da A e ciò porta a un’ulteriore caduta dell’economia di A, che porta a sua volta a importazioni da B in minor quantità e così via dicendo.
Questo potrebbe sembrare un processo esplosivo, ma analizzando dati realistici scopriamo che di fatto è convergente, e appunto le conseguenze al giro successivo dovrebbero essere trascurabili. Le importazioni cinesi dal resto del mondo sono inferiori al 3 per cento del Pil del resto del mondo. Se supponiamo che la Cina viva una recessione pari al 5% del suo Pil, data una flessibilità dei redditi di due punti percentuali – alquanto ragionevole –, si otterrebbe una riduzione del 10% nelle importazioni, equivalente tuttavia a uno shock per il resto del mondo di appena lo 0,3 per cento del Pil. Non si tratta di un dato trascurabile, ma nemmeno di una tragedia.
In ogni caso, basandomi su episodi come la crisi finanziaria in Asia del 1997-98, ho la sensazione che spesso vediamo molti più contagi di crisi economiche di quanto questo tipo di modello sia in grado di spiegare.
E dunque, che altro potrebbe accadere?
Una possibilità è che la recessione economica cinese riesca, col suo impatto sui prezzi delle materie prime, ad arrecare molti più danni agli altri mercati emergenti di quelli che la mia analisi fin qui condotta suggerirebbe. Ci sto ancora lavorando su, ma per il momento non mi sembra di trovare molto.
Un’altra possibilità è una versione internazionale dell’acceleratore finanziario: come fa notare Buiter, molti mercati emergenti paiono essere vulnerabili a causa del debito in valuta estera del loro settore privato (che nel 1997-98 in Asia si dimostrò fatale). Potete ben immaginare, quindi, come un crollo delle esportazioni innescato dalla Cina possa implicare una svalutazione monetaria, che potrebbe portare a seri guai finanziari, che a loro volta potrebbero portare a crolli molto più gravi nel Pil rispetto a quanto suggerirebbe un moltiplicatore diretto delle esportazioni.
Oppure, forse, potremmo assistere a qualche versione del contagio finanziario che coinvolse le economie emergenti negli anni Novanta. Le difficoltà in Brasile potrebbero rendere diffidenti gli investitori nei confronti di altri mercati emergenti, e ciò potrebbe spingere verso l’alto i differenziali degli interessi e costringere a adottare provvedimenti di austerity che potrebbero aggravare ancor più la recessione.
Altrimenti, per quel che conta, nella misura in cui gli stessi hedge fund stanno acquistando asset in molte nazioni emergenti, le perdite in un paese potrebbero costringerli a liquidare gli asset in altri, innescando una sorta di deflazione debitoria globale. Questo fu il caso frequente degli anni Novanta: si verificò ovunque e oggi potrebbe tornare a ripresentarsi.
Nel complesso, però, la tesi di Buiter non mi convince del tutto: la Cina non sembra abbastanza grande da trascinare verso il tracollo il resto del mondo. Non è detto, tuttavia, che io resti graniticamente convinto di ciò, soprattutto perché in passato abbiamo assistito a molteplici episodi di contagio.
Restate sintonizzati…
Traduzione di Anna Bissanti