giovedì 15 ottobre 2015

Il Sole 15.10.15
Intervista al ministro della Difesa
«Più carabinieri in Iraq, l’Italia c’è»
Roberta Pinotti: alleanza anti-Isis anche con la Russia. Gli F35 servono
di Giovanni Minoli


Roberta Pinotti, genovese, sposata con due figli, laurea in Lettere e insegnamento negli istituti superiori. Deputata del 2001, dal 2006 al 2008 Presidente della commissione Difesa della Camera poi ministro della Difesa del governo Renzi, è stata pacifista, oggi è la prima donna che fa scattare sull’attenti i generali.
Maratoneta, si allena nel tempo libero e intanto pensa a come rifare l’esercito italiano, ha realizzato il suo libro bianco e spera di convincere gli europei a fare insieme la Difesa comune. Ma intanto rischia di portare in combattimento in Siria i Tornado italiani, come è stato nella notte tra il 17 e il 18 gennaio del 1991 per il Tornado di Bellini e Cocciolone, i due piloti catturati dagli iracheni dopo l’abbattimento del loro velivolo.
Signor Ministro, l’aereo di Cocciolone è stato abbattuto durante la guerra del Golfo. Ripartiamo da qui?
Noi siamo già presenti in Iraq, per la guerra contro l’Isis, perché pensiamo che l’Isis vada fermato e che sia un pericolo anche per noi, non soltanto per i territori in cui si espande. Ci siamo. Per esempio in quest’ultimo decreto missioni noi aumentiamo i nostri uomini presenti, mandiamo cento carabinieri in più. Fare tutta la discussione se siamo o non siamo in questa battaglia, se i nostri tornado invece di fare ricognizione poi arrivano a fare altre operazioni è molto riduttivo. Noi ci siamo, ma stiamo valutando oggi la richiesta principale che ci è stata fatta, che è quella di avere più carabinieri.
Ma i nostri Tornado quante probabilità hanno di entrare di nuovo in azione?
In passato l’Italia ha fatto molte operazioni con i propri caccia. In questo momento, per quello che valutiamo essere le esigenze in Iraq, non è una scelta che il governo italiano ha fatto.
Insomma, ci siamo anche noi ma la guerra non la facciamo?
Combattiamo l’Isis con convinzione.
Torniamo alla Siria. All’Onu sembrava che Putin e Obama collaborassero, adesso sembra meno vero. Bombardano ognuno per conto proprio. Ma sono i politici, o i militari che non vogliono?
Tra Stati Uniti e Russia c’è un gioco delle parti, le dichiarazioni pubbliche non corrispondono alle trattative che continuano ad esistere. Incredibile e insensato non immaginare che si fa tutti insieme una coalizione per combattere il terrorismo fondamentalista, che pur con le varie punture, a volte più che punture di spillo che ci sono, si arriverà a un punto di condivisione.
In Siria, già una volta Obama voleva bombardare ma Putin e il Papa l’hanno fermato. Hanno fatto bene?
Oggi il tema della Siria è che se tu non hai l’idea della transizione politica, di quello che succede dopo, bombardare in sé per sé non serve a niente. Sono militari i primi a dirlo. Non serve a niente l’uso della forza se non hai un prima e un dopo e un perché.
Adesso ci risiamo. La vede vicina o lontana una soluzione politica per l’uscita di Assad?
C’è stato uno stallo di quattro anni e mezzo e che è costato più di 200 mila vittime in Siria, una cosa terribile. Mi pare che oggi ci sia più comprensione che la transizione è necessaria, in questa transizione Assad non potrà essere il futuro della Siria, ma dalla condizione attuale bisogna partire.
In questa vicenda che riguarda il Mediterraneo, l’Italia non sembra avere un ruolo significativo, perché?
Non è vero, anche tutto quello che sta avvenendo nel Mediterraneo, noi abbiamo presente la missione «Mare sicuro», che è italiana, e abbiamo il comando della missione europea EunavForMed. Nel Mediterraneo noi ci abbiamo portato l’Europa, l’iniziativa è stata italiana.
Però, promettiamo di aumentare i nostri contingenti impegnati nelle operazioni di pace. Ma in cambio di che cosa?
Noi abbiamo offerto all’ONU una serie di competenze che abbiamo
E anche uomini? Certo.
Ma in cambio di cosa?
La credibilità internazionale, una cosa che è difficile pesare ma che in realtà poi possono quantificare i nostri imprenditori quando si muovono nel mondo.
Intanto, sono 26 le nostre missioni all’estero. Tutte necessarie?
Noi le abbiamo ripulite, queste sono necessarie, sono quelle che abbiamo messo nel decreto, alcune sono missioni pesanti alcune solo con uno o due osservatori.
Ma se, nelle prossime settimane, la comunità internazionale decidesse un intervento diretto in Libia, la missione sarebbe a guida italiana?
La comunità internazionale riconosce la leadership italiana per quello che riguarda la Libia, per i legami storici, per le conoscenze e anche perché i libici stessi individuano nell’Italia quel che può essere l’interlocutore principale. Ovviamente va prima fatto il passaggio del governo, che i libici devono decidere di avere unitario, e poi l’Italia è pronta ad essere in prima fila a dare una mano.
Ministro Pinotti, in questo quadro strategico, l’Europa può immaginare di avere un ruolo senza un esercito comune?
L’Europa ci deve lavorare all’esercito comune e deve cominciare a farlo con molta più determinazione, oggi anche gli strumenti per farlo sono ancora troppo deboli.
Molti pensano che in Siria senza una nuova Yalta, diciamo così, il problema non si risolve. Se Roosevelt e Churchill si sono messi d’accordo con Stalin per battere Hitler, come si fa a non allearsi con la Russia per battere l’Isis?
Io faccio il tifo perché questa cosa succeda e come Italia abbiamo sempre cercato – anche laddove ci siano stati momenti di tensione più forti – di riportare al fatto che senza anche un dialogo con la Russia le crisi principali non si risolvono.
Per essere concreti, se bisogna fare accordi con la Russia si può continuare ad avere sanzioni contro di loro?
Ci sono state delle decisioni europee che l’Italia ha mantenuto, ma dentro a questa solidarietà europea che va mantenuta l’Italia è stata quella che con più forza ha ricordato che la Russia non può diventare il nemico
Vanno abolite queste sanzioni?
Da questo punto di vista ci sono delle decisioni che vengono prese insieme e spettano ai ministri degli Esteri
Lei era pacifista. Oggi forse sta per ordinare ai nostri aerei di bombardare. Questa conversione le ha prodotto dei problemi interiormente?
Ci ho lavorato, perché per me all’inizio era molto difficile ragionare sui sistemi d’arma, all’inizio in commissione Difesa votare su questioni che riguardavano le armi era un problema di coscienza
Cosa l’ha convinta?
Un colloquio con Michelle Bachelet, l’attuale presidente del Cile che allora era ministro della Difesa. Essendo venuta in commissione le ho domandato, ’come fa, lei, una donna di sinistra, con un padre che ha lottato a fianco di Allende, come fa a impersonare questo ruolo?’ Lei mi ha risposto che come ministro della Difesa si sentiva più forte di quanto era ministro della Salute ’perché la Difesa è una delle componenti fondanti dello Stato. E lo Stato deve avere l’uso della forza’. Io su quella frase ho ragionato e fatto un percorso
Adesso, per fare quello che il governo Renzi dice di voler fare con la legge di stabilità, servono più o meno 27 miliardi, cioè molti tagli. Voi, alla Difesa, quanto taglierete?
La Difesa ha tagliato moltissimo in questi anni. E sta tagliando in uomini e strutture, come nessun altra pubblica amministrazione sta facendo, stiamo parlando di 50mila tagli da qui al 2024. Stiamo parlando anche di centinaia e centinaia di strutture.
Su questi 27 miliardi lei quanti ne da?
Noi abbiamo dato negli ultimi dieci anni contributi che hanno ridotto del 26% il bilancio della Difesa. Stiamo lavorando sulla legge di Stabilità quindi non le rispondo. Non indebolisco la mia posizione non dandole una risposta.
E alla fine gli F35 li comprate o no?
Il Parlamento ci ha detto di andare avanti nel programma ma cercare di ridurre quello che è l’impatto economico e vedere le criticità del programma (Nel question time del pomeriggio alla Camera gli unici impegni assunti dall'Italia riguardano otto velivoli, ndr).
Servono veramente?
Servono se vogliamo avere l’aeronautica nel senso che possono essere gli F35 o possono essere altri modelli. Nel 98 l’Italia ha deciso dio entrare in questo programma, di entrarci, quindi, come co-produttrice. Il tema quindi non è se quel modello o l’altro. L’Italia allora ha deciso così e ricominciare daccapo sarebbe un po’ sciocco. La domanda vera è serve l’aeronautica o no?
E secondo lei serve o no?
Io penso che serva se vogliamo continuare a partecipare… A parte che l’aeronautica fa moltissime funzioni, anche nel nostro Paese, che sono fondamentali. E se arrivano gli astronauti ad avere il successo che hanno è perché passano dall’aeronautica. Poi se vogliamo essere in alcune missioni certe volte può servire che i nostri siano protetti dalla copertura aerea.