martedì 20 ottobre 2015

il manifesto 20.10.15
Il sociologo: «Quando lo Stato specula sulle ludopatie e la miseria»
Legge di stabilità. Fare cassa con una misura irra­zio­nale e reces­siva: pre­vi­sta l’apertura di 22 mila sale da gioco per un 1 miliardo. Colto in casta­gna, Palazzo Chigi smen­ti­sce: nes­suna nuova licenza. Inter­vi­sta a Mau­ri­zio Fia­sco, socio­logo della Con­sulta Anti-usura: «L’economia delle slot pro­duce danni alle per­sone e all’erario». «La classe poli­tica sfrutta un’ebbrezza col­let­tiva ha tra­sfor­mato un popolo di rispar­mia­tori in un popolo di gio­ca­tori d’azzardo»
intervista di Roberto Ciccarelli

ROMA Lo stato biscaz­ziere con­ti­nua a spe­cu­lare sulle ludo­pa­tie. Con la legge di sta­bi­lità il governo Renzi, che solo due anni fa aveva con­dan­nato l’esecutivo Letta per lo stesso vizio, pre­vede di aprire 22mila nuove sale gio­chi e incas­sare un miliardo di euro. «È inac­cet­ta­bile che di qua si denunci la cre­scita delle ludo­pa­tie e di là si con­ti­nui a spin­gere il gioco – ha detto Don Luigi Ciotti di Libera che da tempo com­batte con­tro l’economia dell’azzardo di stato – è una ipo­cri­sia. E lo sanno». «Da un aumento molto ridotto delle tasse alle con­ces­sio­na­rie di gioco d’azzardo arri­verà pochis­simo — sostiene Gian­luca Castaldi capo­gruppo del Movi­mento 5 Stelle al Senato — ma vi sarà invece un boom di sale scom­messe, con una gara per la con­ces­sione di 15.000 agen­zie e 7.000 cor­ner. Con que­ste misure Renzi sem­bra solo alla ricerca del con­senso elet­to­rale sul mer­cato della mise­ria». «Dovrebbe essere vie­tata total­mente la pub­bli­cità su gior­nali e tv — afferma mons. Mario Toso, mem­bro della Com­mis­sione Epi­sco­pale — Pro­prio per­chè que­sta via della pub­bli­cità è uno spec­chietto per le allo­dole che col­pi­sce soprat­tutto le per­sone più deboli e più espo­ste e più biso­gnose di sostegno».
A Mau­ri­zio Fia­sco, socio­logo della Con­sulta nazio­nale anti­u­sura e pre­si­dente dell’associazione Alea, insi­gnito da Mat­ta­rella del titolo di Uffi­ciale dell’ordine al merito della Repub­blica, chie­diamo come ci si possa con­trad­dire in maniera così pla­teale. «Non sono nella testa di Renzi – risponde l’autore della ricerca Il gioco d’azzardo e le sue con­se­guenze sulla società ita­liana — Pro­ba­bil­mente que­sto è acca­duto per­ché esi­ste una forte pres­sione sulla poli­tica da parte del sistema del gioco. Al suo posto chie­de­rei conto della roz­zezza del para­digma eco­no­mico pro­po­sto dai tec­nici. Que­sto prov­ve­di­mento è una scor­cia­toia cogni­tiva pro­dotta da un cumulo di incompetenze».
Qual è la più impor­tante?
Manca una valu­ta­zione pon­de­rata dei costi e bene­fici sul wel­fare, sull’economia, sulla sicu­rezza pub­blica e la salute delle per­sone. Oltre ai danni che pro­vo­cherà sui com­por­ta­menti della popo­la­zione e sulle sue pato­lo­gie, l’aspetto più scon­cer­tante di que­sta deci­sione è la sua irra­zio­na­lità eco­no­mica. L’azzardo è infatti un mol­ti­pli­ca­tore eco­no­mico nega­tivo. Inve­stendo 100, il ritorno è di 75. È una ten­denza, dimo­strata da una ster­mi­nata let­te­ra­tura inter­na­zio­nale dif­fusa dagli Stati Uniti all’Australia, molto meno in Ita­lia, che ha effetti esat­ta­mente oppo­sti rispetto a quelli dichia­rati. Sarà una palla al piede per la ripresa e un boomerang.
Per quale ragione?
L’economia dell’azzardo riduce le entrate tri­bu­ta­rie dello Stato e con­tri­bui­sce alla sua crisi fiscale, aumenta la depres­sione dei con­sumi, ha un effetto di man­te­ni­mento del ciclo reces­sivo e frena la pos­si­bi­lità di una ripresa della domanda interna di beni e ser­vizi.
Quali sono i con­sumi da incen­ti­vare?
Quelli della filiera lunga che hanno pro­du­cono mag­giori bene­fici sul Pil, sull’occupazione e sulle entrate fiscali. I pro­dotti della mani­fat­tura, ad esem­pio, oppure quelli legati al turi­smo o al tempo libero. Mille euro spesi per una vacanza hanno un impatto sulle entrate infi­ni­ta­mente più apprez­za­bili dei mille spesi per l’azzardo. In que­sto caso il pre­lievo era­riale unico oscilla dal 2 per mille al 12,5%, ci sono impo­ste dirette come l’Irpeg e basta. Se invece si com­prasse un’automobile, ad esem­pio, si paghe­rebbe anche l’Iva e poi si ali­men­te­rebbe l’indotto: il car­roz­ziere, il ben­zi­naio, la manu­ten­zione stra­dale. Nell’industria dell’auto 45 miliardi di spesa ali­men­tano un giro di affari da 200 miliardi e da un milione di occu­pati. Anche nel caso degli inve­sti­menti nella ricerca il ritorno è molto alto. Que­sti sono casi di mol­ti­pli­ca­tore posi­tivo, direbbe Key­nes. Ali­men­tare l’azzardo porta all’inasprimento della cri­mi­na­lità, non riduce la devianza e peg­giora le pato­lo­gie psi­co­lo­gi­che. Fa male sia alle per­sone che alla spesa pub­blica. Se si vuole un vero svi­luppo biso­gna cam­biare approc­cio. Altri­menti «cre­scita» o «con­sumi» diven­tano frasi fatte.
Per­ché i governi cadono nello stesso vizietto?
Usano que­sta scor­cia­toia per­ché allo Stato ser­vono soldi. Pochi, male­detti e subito a sca­pito di quelli pro­dotti da una poli­tica eco­no­mica più lungimirante.
Cosa rende attraente l’azzardo agli occhi della classe poli­tica?
Dopo la pri­va­tiz­za­zione di impor­tanti set­tori dell’economia ita­liana l’unico che è cre­sciuto in maniera impo­nente, per deci­sione poli­tica e non per pro­cesso spon­ta­neo, è stato il gioco d’azzardo. Par­liamo di un giro di affari impo­nente: il 10% dei con­sumi è gene­rato da que­sta eco­no­mia. Quello del gioco d’azzardo è un mer­cato pro­tetto ali­men­tato dalla con­cor­renza sleale dello Stato, che ne detiene il mono­po­lio, sugli altri com­pe­ti­tori. La classe poli­tica prova l’ebbrezza di deter­mi­nare i destini di un com­parto che ha numeri rile­vanti. Dopo che gli è stato tolto il potere sulle ban­che e sull’industria si rivale sui gio­chi per man­te­nerne uno. Para­dos­sal­mente, se fos­simo in un paese inte­ra­mente libe­ri­sta, un boom di que­sta por­tata non sarebbe mai stato raggiunto.
In una crisi deva­stante aumen­tano le ludo­pa­tie. Cosa per­mette la ripro­du­zione di que­sto sistema?
Si è creato un cir­cuito col­lu­sivo in cui coloro che si pro­fes­sano con­trari all’azzardo omet­tono tratti impor­tanti della realtà. Di solito si sostiene che la dipen­denza da azzardo è un pro­blema che riguarda una por­zione limi­tata e fra­gile della popo­la­zione, con pro­fili di per­so­na­lità pro­ble­ma­tici. In realtà siamo di fronte a una pato­lo­gia siste­mica non limi­ta­bile al pazzo o al maniaco. È un’ebbrezza col­let­tiva che ha tra­sfor­mato un paese di rispar­mia­tori e di gio­ca­tori mode­rati in un popolo di gio­ca­tori d’azzardo. Prima le donne non gio­ca­vano, oggi gio­cano quasi quanto gli uomini. Alle slot machine non ci sono solo i gio­vani, ma anche i pensionati.
Cosa signi­fica que­sto dal punto di vista cul­tu­rale?
L’economia dell’azzardo ripro­duce un altro vizio ita­lico: la sepa­ra­zione tra popolo e intel­let­tuali, tra la vita quo­ti­diana delle masse e quella di chi ha cul­tura. Quando parlo con i pro­fes­sori, gli avvo­cati molti di loro non cono­scono nem­meno l’abc di que­sta realtà. Le classi colte non vedono que­sta ten­denza, anche se i quar­tieri in cui vivono sono pieni di sale gio­chi. Que­sto può essere il riflesso del com­bi­narsi del potere della classe poli­tica e il distacco tra gli strati sociali del nostro paese. Quelli che stanno in basso vivono qual­cosa che non è con­di­visa da chi ha un livello di istru­zione più alto.