giovedì 1 ottobre 2015

il manifesto 1.10.15
L’animale politico che dalla città celeste scende in terra
Saggi. "Animale politico. Agostino, Aristotele e altri mostri medievali" di Gianluca Briguglia per Salerno edizioni
di Marco Pacioni


Natura e cultura, umano e animale, individuo e gruppo, amico e nemico. La storia del «politico» sembra costantemente caratterizzata da coppie difficilmente componibili. Forse è anche per questo che il tentativo di ridurle a un concetto ha spesso prodotto degli ibridi come i Pigmei o i Cinocefali: esseri la cui natura è inclassificabile. Oltre che di umani e superumani la storia del «politico» è piena di divinità, angeli, e, addirittura, di mostri. Ve ne sono nella Bibbia come il Leviatano, Behemot, il gigante cacciatore Nembrot citato anche da Dante; e nella tradizione antica come l’uomo magno e sapiente menzionato da Cicerone e la superdonna Cerere che insegna agli uomini bruti l’agricoltura rendendoli abitatori di città e non più di foreste. Quando la cultura europea si riappropria della Politica di Aristotele tradotta da Guglielmo di Moerbeke nella seconda metà del XIII secolo la riflessione sul «politico» del filosofo per eccellenza non semplifica la situazione, non ridimensiona la presenza di mostri.
Del resto anche la famosa definizione di Aristotele dell’umano come «animale politico» è essa stessa un ibrido che mette insieme natura e cultura. A complicare il quadro in una cultura cristiana, com’è quella medievale, vi è la caduta nel peccato di Adamo e Eva – storia non facile da combinare con la Politica di Aristotele e che fa sorgere molte domande. Il «politico» è lo stato originario dell’umano o il rimedio alla violenza distruttiva derivante dal peccato? L’umano è politico perché è naturalmente sociale? E allora come considerare gli individui che scelgono la solitudine come i santi eremiti, o i poeti come ad esempio Petrarca difensore Della vita solitaria?
Il libro di Gianluca Briguglia, L’animale politico. Agostino, Aristotele e altri mostri medievali (Salerno, pp. 96, euro 7,90) offre un orientamento nell’intricata selva di favole e riflessioni sulla natura del «politico» fra il XII e gli inizi del XV secolo. Un mondo di teoria e storia politica colorato e pieno di figure in grado di dare un efficace contributo alla riflessione odierna.
Prima che la Politica tornasse nell’Europa latina, le idee politiche aristoteliche già circolavano attraverso gli altri suoi testi, ma soprattutto attraverso la ricezione di Cicerone sul quale Briguglia si sofferma per poi considerare l’altro versante, quello biblico cristiano e con esso la riflessione politica derivante da Sant’Agostino che si innerva sul peccato originale. È interessante notare che in Sant’Agostino il «politico» come dimensione di concetti in coppia raddoppia sia sul versante della natura (l’umano dello stato edenico e quello decaduto dopo il peccato) sia sul versante della cultura (due città: quella celeste e quella terrestre). Ma a ben vedere la dimensione doppia, molteplice del «politico» caratterizza anche le altre opere prese in considerazione da Briguglia (Pietro Lombardo, Boncompagno da Signa, Brunetto Latini, Egidio Romano, Salimbene de Adam, Giovanni di Parigi, Tolomeo da Lucca, Alberto Magno, John Wyclif, Boccaccio).
Un autore e un’autrice, fra gli altri, sono particolarmente interessanti riguardo quella che sembra essere la dimensione duplice del «politico». L’autore è San Tommaso d’Acquino che riesce a difendere l’idea aristotelica sostenendo che la politica non è soltanto un’arte del rimedio alla condizione post-paradisiaca cui è andato incontro il genere umano dopo il peccato originale, ma un’esigenza di organizzazione volta a un fine che regolava già il creato attraverso gli angeli e gli umani prima della caduta. Per San Tommaso il «politico» esiste sin dal momento della creazione. Ed è per questo che egli distingue sottilmente fra «animale sociale» e «animale politico». L’umano è tale non semplicemente perché è costretto dall’esigenza o dall’istinto di difendersi dagli altri simili ad aggregarsi.
L’autrice è Christine de Pizan che nei primi anni del Quattrocento con La città delle dame, sviluppando soprattutto il mito di Cerere, mostra come quella stessa dimensione doppia del politico – all’insegna dell’endiadi per usare il titolo di un libro di Curi da poco ristampato – è già presente all’interno della stessa umanità ed è la distinzione inseparabile fra donne e uomini.