il manifesto 11.10.15
Sei morti palestinesi in 24 ore, adolescenti in prima linea
Palestina/Israele. Uccisi a Gerusalemme e Gaza in attacchi e manifestazioni pacifiche. Quattro israeliani accoltellati. La politica non sa reagire.
di Chiara Cruciati
BETLEMME La rivolta che attraversa i Territori Occupati e Israele è diversa dalle precedenti sollevazioni popolari. Lo si vede tra la gente, per le strade della Cisgiordania. Negozi aperti, suq affollati, atmosfera “normale”. Se non fosse per le parole che si sovrappongono: tutti parlano degli attacchi, degli scontri. Tanti i ragazzini con la kefiah al collo. Ma la partecipazione di massa alle proteste che esplodono improvvise a ogni ora del giorno e della notte non c’è.
Gli shebab tirano pietre lungo il muro tra Betlemme e Gerusalemme. I più grandi li richiamano, chi ha vissuto la Seconda Intifada e la sofferenza che portò con sé: «Ho trovato mio cugino al muro, lanciava pietre – ci dice Hassan, 27 anni – L’ho riaccompagnato a casa. Quando scoppierà qualcosa di grosso, popolare, lo porterò io stesso a manifestare. Ma ora è un gioco al massacro».
Un’opinione che alcuni adolescenti non condividono, quelli che si fanno uccidere dalle pallottole israeliane per portare avanti un’azione che sa di disperazione. Ieri altri due casi di accoltellamento sono finiti con la morte dei responsabili. Il bilancio di ieri è sanguinoso: sei palestinesi uccisi, tre a Gaza. Jihad Salim al-Ubeid, 22 anni, morto ieri per le ferite riportate venerdì durante la manifestazione nella Striscia al confine con Israele. Lo stesso scenario si è ripetuto ieri: due ragazzini, Marwan Barbakh, di 13 anni, e Khalil Othman, 15, sono stati ammazzati alla frontiera dal fuoco a distanza di Israele.
La notte scorsa a perdere la vita è stato Ahmad Salah, 24 anni, del campo profughi di Shuafat. È stato ucciso durante scontri con la polizia israeliana. Secondo un leader di Fatah, Thaer al-Fasfous, «le forze di occupazione hanno sparato a distanza ravvicinata», impedito all’ambulanza di soccorrerlo «e lasciato a terra a dissanguarsi».
Gerusalemme ieri ha pagato lo scotto della violenza di questo ottobre: ieri alla Porta di Damasco Eshak Badtan, 16 anni di Kufr ‘Aqab, ha accoltellato un israeliano di 65 anni, ferendolo lievemente. La polizia lo ha circondato e, quando ormai non rappresentava più un pericolo, come mostrano le foto scattate da testimoni, lo ha ucciso. Sono scoppiati scontri alla Porta di Damasco, fino ad un nuovo accoltellamento: un secondo palestinese, Mohammed Saeeb, di Shuafat, ha ferito tre poliziotti prima di essere ucciso.
Un’ondata di aggressioni individuali che Israele non sa gestire. Come non sa gestire il razzismo violento dei suoi cittadini. Si moltiplicano le ronde punitive: agli slogan “Morte agli arabi” segue l’azione. Ieri la polizia ha arrestato 5 israeliani che avevano organizzato nei social network attacchi contro palestinesi nella città costiera di Netanya. Una trentina di persone hanno risposto all’appello e si sono presentate in Piazza Indipendenza con coltelli e catene. Tre palestinesi sono stati aggrediti: due sono riusciti a fuggire, un terzo è stato linciato dalla folla. Fino all’arrivo della polizia.
In Cisgiordania a subire la vendetta dei coloni sono state le comunità palestinesi della zona di Hebron: attaccate abitazioni a Wadi Hussein, dietro la protezione dell’esercito che, invece di intervenire per fermare i coloni, ha lanciato gas lacrimogeni e acqua chimica sulle case.
Per molti osservatori l’intervento israeliano si traduce in punizioni collettive contro la popolazione civile, aperta violazione del diritto internazionale. La demolizione delle case dei responsabili di attacchi o i raid nei quartieri e nei villaggi hanno provocato la protesta di organizzazioni per i diritti umani, a partire da Amnesty International che accusa Israele di «eccessivo uso della forza e di omicidi ingiustificati». Le 20 vittime palestinesi erano tutte evitabili: chi è stato ucciso mentre manifestava pacificamente e chi, dopo aver aggredito con un coltello, poteva essere fermato con altri pezzi. Dopotutto gli israeliani fermati per atti simili non sono stati uccisi, ma solo arrestati.
Hamas per ora resta a guardare: con una mano fa appello alla sollevazione, con l’altra frena spaventato dalla possibile reazione di Israele contro Gaza, ancora non ricostruita e dove il consenso verso il movimento islamista si abbassa. Consenso ai minimi anche per l’Anp che a Ramallah si trincera dietro deboli dichiarazioni mentre i palestinesi esplodono. Il presidente Abbas non sa che fare e, se al telefono con il segretario di Stato Usa Kerry dice che la colpa è «delle provocazioni dei coloni e del governo di occupazione israeliana», nella realtà è schiacciato tra le necessità di frenare l’insurrezione e il timore di un crollo di Fatah tra la gente.