sabato 10 ottobre 2015

il manifesto  10.10.15
Haaretz: preoccupano i riflessi sull’economia israeliana
di Michele Giorgio


L’economia israeliana può reggere l’urto di una nuova Intifada? Gli esperti cominciano a porsi questo interrogativo di fronte alla possibilità, sempre più concreta, di una nuova sollevazione popolare palestinese contro l’occupazione militare israeliana. I palestinesi, notava l’altro giorno David Rosenberg sul quotidiano Haaretz, hanno già dimostrato di poter sopportare anni di chiusure di intere città, di restrizioni ai movimenti di persone e merci e tante altre difficoltà imposte dal regime di occupazione militare. Israele, al contrario, farà i conti con pesanti conseguenze, in ragione proprio dell’evoluzione avuta dalla sua economia in questi ultimi 10–15 anni.
La «Start-up Nation» è sempre più inserita nell’economia globale e dipendente in modo crescente dal commercio e dagli investimenti. Quando nel 1987 scoppiò la prima Intifada, Israele registrava investimenti diretti dall’estero per alcune centinaia di milioni di dollari. Nel 2000, con l’inizio della seconda Intifada, questo tipo di investimenti ammontavano a 8 miliardi di dollari. Ora 8 miliardi di investimenti dall’estero si registrano già nel primo semestre del 2015. Il commercio estero vale due terzi del prodotto interno lordo israeliano e il turismo, in costante crescita, è uno dei principali datori di lavoro. Una terza Intifada e una lunga instabilità, avvertono Rosenberg e altri esperti, potrebbero causare un crollo massiccio del turismo, anche per diversi anni. Il settore tecnologico è più impermeabile agli sconvolgimenti politici ma non potrà rimanere immune per mesi, forse anni, di fronte a immagini di scontri e violenze e a violazioni israeliane dei diritti umani documentate e discusse all’estero. L’economia israeliana perciò rischia di pagare il costo più alto di un mancato accordo tra i suoi governi e i palestinesi sotto occupazione.