martedì 6 ottobre 2015

Corriere 6.10.15
La minoranza e una polemica con il premier a tempo scaduto
Dopo le provocazioni volgari, grillini e verdiniani si affannano a scaricare le colpe sul presidente Grasso
di Massimo Franco


La strategia dei distinguo nei confronti di Matteo Renzi non si ferma, nel Pd. Le critiche arrivate ieri dall’ex segretario Pier Luigi Bersani contro «trasformismi e giochi di potere» che avvilirebbero il partito, sono in effetti pesanti. Eppure, l’impressione è che siano fuori tempo massimo. Nel momento in cui la minoranza dem ha accettato la riforma di compromesso sul Senato e garantito l’unità al premier, tornare indietro risulta impossibile.
Le punzecchiature finiscono per apparire più una presa di distanza d’ufficio che l’annuncio di una nuova offensiva.
Il problema, per quanto negato dai più, è il rapporto con i trasfughi di Forza Italia guidati da Denis Verdini. Si tratta di una novità largamente annunciata e prevista. Ma provoca ugualmente un’acuta sofferenza politica in un partito di sinistra costretto a fare i conti con la realpolitik del presidente del Consiglio. «Non mi preoccupo di Verdini e compagnia ma del Pd e delle politiche di governo», assicura Bersani. Può darsi che in parte sia così. La modifica dei contorni della maggioranza provocata dall’erosione del Nuovo centrodestra e dall’ingresso dei senatori di Ala, i verdiniani, appunto, è un fatto. E i nuovi entrati non fanno nulla per nascondere il proprio ruolo, che lo sgretolamento del Ncd potrebbe rendere essenziale nelle votazioni a Palazzo Madama. Anche gli uomini di Angelino Alfano si sforzano di ricordare a Palazzo Chigi che il Partito democratico non ha la maggioranza; e che dunque Renzi dovrebbe «rafforzare tutta l’area di centro». Il problema è che adesso ce ne sono due, nella coalizione: quello di Alfano e i nuovi entrati. E non si capisce bene quale sia più prezioso e, in prospettiva, più numeroso.
La lenta emorragia parlamentare dei berlusconiani lascia capire infatti che il Pd potrebbe essere sempre più puntellato dalle truppe del Cavaliere. Se non nel Paese in Parlamento, si profila una maggioranza inedita in grado di abbozzare uno schieramento di centrosinistra moderato: l’embrione del «Partito della Nazione». È a questo, probabilmente, che Bersani allude quando parla della strategia, a suo avviso nebulosa, del Pd. In realtà, la nebulosità è relativa.
E il segretario-premier può rivendicare l’unità del partito: la stessa raggiunta per l’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella. All’unisono i due vice di Renzi, Lorenzo Guerini e Deborah Serracchiani, invitano Bersani a non «costruire una polemica al giorno, dopo la buona prova del Pd». Ma in Senato si continua a votare, e tensioni e provocazioni anche volgari sono in agguato: lo si è visto nei giorni scorsi, sebbene la Lega e i verdiniani si affannino a scaricare la colpa sul presidente Piero Grasso. E altre si annunciano: a cominciare dall’allusione velenosa di Luigi Di Maio, del Movimento Cinque Stelle, ad una presunta compravendita di voti tra Renzi e Verdini.