sabato 3 ottobre 2015

Corriere 3.10.15
Finkielkraut sfida il totem Memoria : impedisce di vedere il mondo com’è
di Stefano Montefiori


PARIGI Il sacro totem della Memoria come pigrizia intellettuale. I rituali moniti «contro l’oblio» e «il ritorno degli anni Trenta» come una giacca blu sdrucita, ma confortevole e buona per tutte le occasioni, specie se non si ha nient’altro da indossare.
Alain Finkielkraut torna con un nuovo libro, e tra tutte le idee che un tempo si sarebbero dette controcorrente — sulle nozze gay, il femminismo, l’immigrazione, la società multiculturale, la scuola, pure il film Django Unchained di Tarantino, che non gli è piaciuto — quella sul dovere della memoria che sfocia in paralisi del pensiero è forse la più stimolante. Specie se si considera che il filosofo francese è nato a Parigi nel 1949 da un padre ebreo sopravvissuto ad Auschwitz e una madre ebrea a cui i nazisti sterminarono tutta la famiglia in Polonia.
La seule exactitude si intitola il libro appena uscito in Francia per le edizioni Stock, che si basa sugli interventi tenuti da Finkielkraut dal 2013 al 2015 su Rcj (Radio della comunità ebraica), sul mensil e «Causeur» e sul «Figaro». Il titolo è una citazione di Charles Péguy: «Essere in anticipo, essere in ritardo, che inesattezza. Essere puntuali è la sola esattezza possibile».
Finkielkraut si mette alla prova del presente, convinto che molti suoi contemporanei abbiano perso la capacità di vedere le cose come stanno. Interpretano il mondo o con la griglia della memoria, del «passato-che-minaccia-di-ritornare», o con quella del futuro, inteso come realizzazione ineluttabile e progressista: «Su qualsiasi tema tutti dicono “La Francia è in ritardo”, “siamo in ritardo”. Ma ritardo rispetto a chi, a che cosa?».
Proprio in questi giorni, alla vigilia dell’uscita del libro, Finkielkraut è stato accusato assieme ad altri intellettuali — Michel Onfray, Éric Zemmour, Michel Houellebecq tra gli altri — di «fare il gioco del Front national», di essere un «lepenista oggettivo», con le sue idee antimoderne e «reazionarie». Lui sostiene di non condividere affatto la visione di Marine Le Pen, però protesta perché la si combatte non sul terreno delle idee, ma su quello ideologico e sclerotizzato della «lotta antifascista».
Marine Le Pen ha litigato con il padre, ne ha preso le distanze, lo ha espulso dal partito da lui fondato nel lontano 1972 dopo l’ennesimo scivolone negazionista. «L’odio antisemita — scrive Finkielkraut nel suo libro — quindi non si trasmette più in famiglia. Questa disattivazione del virus, che dovrebbe rallegrare gli antifascisti, li getta al contrario nel furore e nello spavento. Scandiscono, con nuova determinazione, “il fascismo non passerà!” ma è “il fascismo non trapasserà, non morirà!” che bisogna intendere. Se questo pericolo supremo venisse a mancare, sarebbero come dei bambini perduti, vagherebbero senza punti di riferimento in un mondo indecifrabile. A terrorizzarli, più che il fascismo, è l’eventualità della sua scomparsa. Si dicono progressisti, ma sono dei devoti dell’immutabile: odiano il nuovo e credono con tenacia di ferro nell’eterno ritorno delle ore-più-oscure-della-nostra storia». Ecco perché, secondo Finkielkraut, Marine Le Pen continua ad avanzare: le questioni che lei pone vengono ignorate, e ci si concentra sulla lotta antifascista in assenza di fascismo.
Come gli altri pensatori che anni fa venivano definiti politicamente scorretti, e che ormai in Francia hanno conquistato una nuova egemonia culturale, Finkielkraut è diventato l’ospite più ambito di radio e tv, che se lo contendono sicuri di fare ottimi ascolti. Ieri mattina il filosofo presentava il suo libro alla radio France Inter, dove è intervenuto a favore di Nadine Morano: esponente della destra, nota per gli scivoloni poco diplomatici, l’eurodeputata giorni fa ha contrapposto ai fautori dell’immigrazione la Francia come Paese in maggioranza «giudaico-cristiano, come diceva il generale de Gaulle, di razza bianca», ed è stata sepolta dalle critiche. La formula «razza bianca», pur attribuita a De Gaulle, non le viene perdonata.
Con l’aggravarsi della crisi dei migranti, dice Finkielkraut, «c’è un razzista da denunciare ogni settimana, l’antirazzismo è sempre alla caccia di una nuova preda. È assurdo». L’evidenza non si può riconoscere, secondo Finkielkraut: la Memoria impedisce di vedere il mondo così com’è.