Corriere 28.10.15
Migranti, il salto di qualità che merkel chiede all’europa
di Danilo Taino
Angela Merkel ha messo la testa sul ceppo nell’istante stesso in cui, a inizio settembre, ha aperto le porte della Germania, e dunque dell’Europa, a milioni di profughi. Si è presa un rischio di cui nessuno la riteneva capace. Può vincere la sfida, oppure può perderla: si vedrà. In un mondo in cui il cinismo è spesso considerato un segno di modernità e di «realismo», la scelta della cancelliera tedesca viene però commentata molto più per le conseguenze che avrà sul suo (piccolo) destino politico che per quel che veramente è.
Si può discutere sulle ragioni (e sui ritardi) per le quali Frau Merkel ha preso l’iniziativa. E sulla saggezza della scelta. La cosa certa è che si tratta di un game changer consapevole: sin dal primo momento ha sostenuto che il flusso di chi cerca asilo avrebbe trasformato i connotati della Germania e dell’Europa. È qualcosa che ha cambiato le regole del gioco. In più di un senso. Innanzitutto, ha reso politico un terreno sul quale i governi europei si impegnano solo a parole, quello morale. Per la sua semplicità, la questione arriva al cuore del problema: a chi fugge dalle guerre e da situazioni di alto rischio va dato asilo. Punto. Lascia perplessi come, in molto dibattito, questo aspetto venga trascurato. Viste le critiche (astratte) all’aridità e agli opportunismi della politica dei decenni scorsi, non considerare la portata di questo cambio di prospettiva è piuttosto infelice.
In secondo luogo, l’apertura ha dato una scossa forte a un’Europa che da vent’anni si trascina parlando di moneta e di bilanci degli Stati. È una scelta che mette in gioco l’idea di Ue alla quale ci siamo abituati, che le fa correre dei rischi, che provoca divisioni tra Est e Ovest — come ricordano ogni giorno Jean-Claude Juncker e Donald Tusk. Ma che, soprattutto, costringe gli europei a misurarsi con un progetto di lungo periodo, quello dell’integrazione di milioni di persone, per lo più di religione islamica, in una delle aree più ricche e istruite del pianeta. Un’impresa di lungo periodo e non scontata: però di grande trasformazione, in un continente che invecchia, e allo stesso tempo inevitabile. Inevitabile non solo per l’imperativo morale, che se venisse negato provocherebbe una grave involuzione politica e probabilmente conseguenze violente: ma anche perché mette finalmente l’Europa (e la Germania) di fronte alle responsabilità nel mondo globalizzato. Questo è il terzo cambiamento delle regole gioco. Da almeno due decenni, l’Europa si è chiusa in se stessa, concentrata sulla moneta unica, sulla discussione austerità/spesa pubblica, sulla difesa di qualche settore industriale. Nell’illusione che la Storia fosse davvero finita nel 1989. Prima la crisi ucraina, poi il Medio Oriente — crisi violente ai propri confini — le hanno fatto sapere che non è così.
Bene: l’apertura ai rifugiati della Siria, dell’Iraq, dell’Afghanistan è un passo verso un’Europa che non può più credere di essere una bella addormentata in una foresta popolata da banditi. Non è così, e i rapporti con il resto del mondo, con i vicini e le loro crisi è meglio gestirli piuttosto che venirne gestiti.
L’asticella che l’apertura di Frau Merkel ha fissato è molto alta. Non è detto che l’Europa e la Germania ce la facciano a saltarla. La cancelliera — sottoposta a critiche pesanti in casa — dovrà dimostrare di avere un piano chiaro e di saperlo mettere in pratica: dal punto di vista organizzativo, cosa per ora non scontata, e in un progetto di integrazione che risponda alle paure dei cittadini nei confronti dei diversi in arrivo. L’avere messo la sua testa sul ceppo fa pensare che cercherà di riuscirci. Andrebbe sostenuta. Molti altri leader — nell’Est europeo ma anche i non pochi David Cameron dell’Europa occidentale — il rischio invece non lo hanno finora preso: attenti, più che agli aspetti morali e geopolitici posti dal flusso dei rifugiati, a non fare piccoli passi falsi. Una sconfitta della cancelliera tedesca, però, sarà anche la loro, anche la nostra.