martedì 29 settembre 2015

Repubblica 29.9.15
La Catalogna e i silenzi della Lega nazionalista
Primi scricchiolii per il Carroccio proprio quando il leader si prepara a fagocitare Forza Italia
di Stefano Folli


C’È QUALCOSA che non convince nel percorso di Matteo Salvini da leader della Lega Nord a personaggio simbolo della destra nazionalista. Qualcosa che comincia a riflettersi nei sondaggi, ancora ottimi per lui ma meno scintillanti di qualche mese fa. Le percentuali scivolano dal 15 o addirittura 16 per cento a un 14 senza dubbio rilevante, se non fosse che indica un’inversione di tendenza. Fino a un certo punto Salvini è cresciuto in modo costante, adesso ristagna o addirittura retrocede. Il paradosso è che l’inciampo si verifica proprio quando le circostanze sembrerebbero favorevoli come non mai. Forza Italia si sta sbriciolando, Berlusconi non seduce più nemmeno i giovani di Giorgia Meloni, pezzi di ceto politico e parlamentare guardano altrove o son tentati dal prendere il taxi di Verdini. Eppure quel 9-10 per cento di fedelissimi alla sigla berlusconiana non è poco. Se seguirà la corrente, potrebbe finire in buona misura tra le braccia di Salvini. Non tutto, ma una fetta cospicua, forse i due terzi. Lo stesso vecchio leader si sta preparando a negoziare con il leghista, sia pure senza il minimo entusiasmo.
Del resto, la strada pare obbligata e Salvini si allena a vestire i panni dell’erede designato. Anche se il candidato premier difficilmente sarà lui. È singolare dunque che proprio adesso si comincino ad avvertire degli scricchiolii. Molto dipende dal fatto che quel 20-22 per cento complessivo (Lega più il grosso di Forza Italia) non dà l’impressione di un movimento in ascesa bensì di un’alleanza vetusta, con i berlusconiani in crisi drammatica. Se si tratta di essere credibili come ariete anti-sistema, i Cinquestelle continuano a essere avanti nei sondaggi (24-25 per cento) e, nonostante i loro limiti, trasmettono un’immagine meno compromessa con manovre di palazzo lunghe vent’anni.
Tuttavia non basta. Il partito di Salvini è pur sempre figlio del partito separatista di Umberto Bossi. Oggi di Padania non si parla più, ma il nome è rimasto quello: Lega Nord. Ed è un po’ curioso che il giovane leader abbia cambiato strada fino al punto di ignorare la vittoria degli indipendentisti in Catalogna. Non una parola, un commento, un “tweet”. Nonostante la sua non comune capacità di esposizione mediatica, Salvini non ha trovato niente da dire. E sì che la Catalogna, insieme alla Scozia, era il simbolo stesso del leghismo prima maniera. Come sa bene uno dei sopravvissuti della vecchia guardia, quel Calderoli tornato agli onori delle cronache per via degli 80 milioni di emendamenti alla riforma Boschi.
È ben chiaro che la nuova Lega salviniana è tutt’altra cosa e si ispira al nazionalismo di Marine Le Pen. Ma forse il salto è un po’ troppo brusco per l’opinione pubblica. Forse andrebbe spiegato, invece di seppellirlo sotto una coltre di mutismo. Forse le posizioni politiche hanno bisogno di radici, meglio se lunghe: non basta il battere e ribattere ogni giorno sul tema dell’immigrazione. E persino il piccolo infortunio del visto negato dalla Nigeria, che ha reso impossibile un viaggio di propaganda, sembra confermare l’impressione generale: la “fase uno” di Salvini tende alla conclusione. Per tornare a far notizia, il leader leghista deve rinnovare il suo spartito con un po’ di fantasia e, se possibile, di cultura politica. I viaggi in Africa, giunti al punto in cui siamo, servono a poco.
SERVIREBBE cambiare nome alla Lega Nord, se si vuole incarnare un’idea di nazione (ma quale, se prevale in ogni caso il populismo?). E poi sarebbe utile costruire un’alleanza di centrodestra meno scontata, meno circoscritta al berlusconismo morente con l’aggiunta di dosi massicce di “talk show” televisivi. Tutto lascia presumere che il prossimo scontro elettorale sarà fra il sistema, sia pure riformato, cioè Renzi; e l’anti-sistema, al momento Grillo. Dove si collocano Salvini e Berlusconi? Con il sistema o l’anti-sistema? Finora non sembra chiaro nemmeno a loro. Ma non basta che Salvini taccia sulla Catalogna per esorcizzare il terremoto europeo, davanti al quale la Lega nazionalista smarrisce se stessa.