domenica 27 settembre 2015

Repubblica 27.9.15
Azar Nafisi
“Teheran ha paura e sta cambiando Ma l’Occidente adesso deve aiutarci”
La scrittrice esule negli Usa commenta la svolta di Rouhani: “Ma sui diritti umani deve fare di più”
Non è stato lo scià a darci dei diritti e gli ayatollah a toglierceli, le donne se li sono sempre conquistati
Per le democrazie gli stati totalitari dovrebbero essere degli specchi per imparare a prevenire i pericoli
L’indifferenza è il male peggiore.
Oggi le persone non leggono e dal conformismo nasce la violenza
di Vanna Vannuccini


VENEZIA Servono ancora i romanzi in un mondo dove la realtà è tanto drammatica? Azar Nafisi è sicura: servono. La letteratura è la porta per «la libertà interiore», per resistere «alle menzogne e alle illusioni», i romanzi sono «i nostri guardiani morali», L’Occidente però ne svaluta l’importanza. Uno studente iraniano le disse una volta una frase che la colpì: «Gli americani sono diversi da noi, dei libri non gliene importa niente». Di qui nacque l’idea di questo romanzo, La Repubblica dell’Immaginazione .
Nel 2003, sei anni dopo aver lasciato per sempre Teheran, la sua città natale, Azar aveva scritto Leggere Lolita a Teheran, un dotto lavoro di critica letteraria e insieme un memoir sulle lezioni di letteratura americana che aveva tenuto clandestinamente in casa sua, a Teheran, mentre la rivoluzione cambiava la sua vita e quelle delle sue studentesse.
La Repubblica dell’immaginazione parla invece delle idee che si è fatta sulla mentalità americana attraverso l’esplorazione di tre classici : Huckleberry Finn di Mark Twain, Babbitt di Sinclair Lewis e Il cuore è un cacciatore solitario di Carson McCuller.
Azar oggi è cittadina americana. Lo è diventata nel 2008, in un edificio «senza storia» di Fairfax, Virginia. Ma nella hall dell’albergo sul Canal Grande dove la incontro chiunque capisce da lontano che è iraniana: bella, elegante, pelle luminosa, un’iraniana di buona famiglia, la madre era imparentata con la famiglia reale dei Qajar.
Gli iraniani apprezzano più degli americani la letteratura, soprattutto la poesia, lei dice. Possiamo dunque ben sperare per il futuro dell’Iran?
«La poesia è sempre stata molto importante in Iran e ci sono sempre state grandi poetesse. In un libro recente, Faces of love , Dick Davis, grande traduttore dal persiano, pubblica due straordinari poeti contemporanei di Hafez. Uno è una donna, la principessa Jahan Malek Khatun, l’altro un poeta satirico, Obayd-e Zakani. I loro poemi ci danno un ventaglio di tutti gli aspetti dell’amore, spirituale e non, e già da allora si fanno beffe dell’ipocrisia dei mullah».
Dopo l’obbligo del velo le ragazze della famiglie tradizionali iraniane per la prima volta hanno avuto il permesso di uscire di casa e andare all’università — paradossalmente un merito della Repubblica islamica?
«Se non si dimentica che se sono entrate in un sistema educativo è stato perché era già in atto un sistema che aveva aperto alle donne ogni tipo di lavoro in tutti i campi. E le donne poi hanno difeso questi diritti quando il regime ha cercato di restringerli. È sempre stato così: non è stato lo scià a darci dei diritti e gli ayatollah a toglierceli, sono state sempre le donne in prima persona a conquistarseli. Le ragazze di oggi lo sanno. Il problema non è il velo, come ripeto sempre; una delle mie nonne ad esempio lo portava. Ma lo portava per scelta. Il problema è la libertà di scegliere».
Grande letteratura, grande civiltà, come si spiega il muro di pregiudizi che l’Occidente ha costruito nei confronti dell’Iran?
«Io ho fatto l’università in Oklahoma negli anni ‘70 poi sono tornata in Iran all’inizio del ‘79 fino al ‘97. Quando tornai, fui scioccata dal sistema educativo americano. Non si studiavano altre culture, altre lingue. Non si sapeva nulla degli altri paesi. Tantomeno che in Iran la lotta per la democrazia, e per la liberazione delle donne, era cominciata da oltre un secolo».
I libri sono più importanti nei paesi totalitari?
«Sotto la repressione tutto ha un significato più intenso. Me per le società democratiche gli stati totalitari dovrebbero essere degli specchi per imparare a prevenire i pericoli. In Occidente, uno dei peggiori mali è l’indifferenza. Guardi dove ci ha portato in America la cultura del consumismo. Abbiamo un Donald Trump fiero della sua ignoranza. Obama ha detto agli americani: studiate per avere un lavoro migliore. In realtà bisognerebbe studiare per la gioia del sapere. Nel mio libro ho scelto Huckleberry Finn perché per me è come la dichiarazione d’indipendenza: una dimostrazione d’individualismo non egoista, che cresce attraverso l’interazione con gli altri e sa che il peggior male è il conformismo. Di lì viene la violenza. Ma oggi le persone non leggono più, ascoltano notizie banali alla tv che categorizzano tutto, tipo: gli iraniani sono orgogliosi e per questo vogliono la bomba. Oppure: sono orgogliosi di avere la bomba, e così via».
Lei considera positivo l’accordo sul nucleare, spera in Rouhani?
«Io spero solo nella gente, dei governi diffido: ci sono ancora tante persone in prigione, nonostante le promesse fatte da Rohani, perfino un giornalista americano. Lo stesso Khatami era molto più riformatore di Rouhani».
E infatti non ce la fece. Ma allora gli espatriati iraniani nel mondo non avevano fiducia in lui, lo consideravano un paravento del regime, e non lo aiutarono.
«Cerchiamo di capire. Ci sono carcerieri duri che rifiutano di farti prendere dieci minuti d’aria e carcerieri morbidi che ti consentono una passeggiatina. Per gli iraniani in patria era meglio poter fare la passeggiatina, ma per chi viveva all’estero questo non era abbastanza».
Un andamento moderato come quello di Rouhani potrà alla fine dare più frutti?
«La verità è che il regime ha paura. Hanno paura che la gente prima o poi non dica “vogliamo il velo più corto”, ma “non vogliamo voi”. Detto questo qualsiasi cambiamento anche piccolo che Rouhani possa fare è benvenuto. Ma a patto di poter continuare a insistere sui diritti umani. Io considero che il mio ruolo di persona indipendente sia dire quello che penso. Ho votato per Obama ma non mi sento obbligata ad essere sempre d’accordo con lui. Sono per la libertà di parola!».