domenica 20 settembre 2015

Repubblica 20.9.15
Abbiamo reso il mondo più piccolo e senza favole
Le abitudini o i vestiti sono uguali dappertutto uniformati da quella enciclopedia portatile che è il web: ci nutriamo degli stessi riferimenti
di Maurizio Ferraris


Nel Seicento è nato un nuovo genere letterario, la fantascienza. Autori come Cyrano de Bergerac (proprio lui!) scrivevano libri sugli Stati e gli imperi della luna, e fantasticavano sui mondi possibili che circondavano il nostro, quello reale. Con quella che è a tutti gli effetti una sceneggiatura fantascientifica, Leibniz aveva immaginato una torre fatta di palazzi sovrapposti, ognuno dei quali era un mondo possibile. Grosso modo a metà altezza c’era il nostro mondo, il mondo reale, diremmo noi; il migliore dei mondi possibili, scriveva Leibniz, suscitando retrospettivamente le lamentele di Candide.
Questa vena fantastica aveva delle origini del tutto realistiche. Le scoperte geografiche avevano allargato i confini della terra; quelle astronomiche avevano fatto della terra un mondo fra mondi; e persino la biologia, scoprendo i microorganismi, si era fatta l’idea che lo stesso corpo umano fosse un microcosmo all’interno del macrocosmo. I romanzi di avventure nei mari tropicali o nella Giungla Nera, i giri del mondo in Ottanta giorni, le diecimila leghe sotto i mari e poi le odissee nello spazio sono l’espressione di questo mondo che si faceva più grande ogni giorno di più.
Poi il mondo ha incominciato a rimpicciolirsi, seguendo il destino delle casse dei nostri amplificatori, che da catafalchi intrasportabili si sono trasformati in cubi tascabili. Da una parte, lo spazio e l’infinito hanno cessato di attirare l’attenzione dell’umanità, diversamente da quanto avveniva ancora mezzo secolo fa. Dall’altra, la Terra è diventata uno spazio angusto, in cui ogni angolo (fotografato nelle street view di google maps) può essere raggiunto in poche ore.
Questo rimpicciolimento dello spazio è anche un accorciamento del tempo. Tutti abbiamo assistito alla scomparsa della fantascienza, sostituita dal fantasy. Anni fa, accompagnando mia figlia a Disney World, fui impressionato da quanto decrepite apparissero le installazioni messe a rappresentare dei futuribili fatti di astronavi e di macchine del tempo, mentre il futuro si era orientato su una via del tutto imprevista, quella del web e della ingegneria genetica. Tutta l’invenzione che resta si esercita sulla modificazione di un passato fatto di legioni romane che combattono al tempo di Re Artù.

Non stupisce che, nel caso di narrazioni ambientate nei nostri giorni, il divario tra realtà e finzione venga meno. Non è affatto il “divenire favola” del mondo di cui aveva parlato Nietzsche. Non c’è alcun “reincanto del mondo”, che è un futile sogno tardoromantico, ma piuttosto un dispiegarsi della realtà, nei suoi splendori e nelle sue miserie. Le abitudini o i vestiti sono uguali dappertutto, uniformati da quell’enciclopedia portatile che è il web, l’immaginazione delle persone si nutre degli stessi riferimenti.
Dunque non stupisce che la finzione e la realtà si incontrino sul piano di una realtà generalizzata. Il personaggio dei Reality era, in un certo senso, l’ipostasi infima dello Star System, del mondo della favola che scende nel mondo reale. L’utente di Facebook, invece, rappresenta la sua vita quotidiana, i minuti comportamenti. Una noia immane. Però sui grandi numeri può emergere una sorpresa, sino alla tragedia pura, come nell’omicidio in Virginia. Il fenomeno più forte è proprio l’emergenza: da un reale iper-connesso e iper-registrato emergono più cose di quante ne possano sognare le nostre filosofie.
Il processo creativo va dal mondo alla mente, e non l’inverso, e in definitiva è sempre stato così, tranne che non lo si sapeva. Chissà quanti eventi favolosi sono avvenuti nella storia — e non ce ne resta traccia, tranne di quei pochi che hanno dato origine ai miti e ai poemi epici. Il fatto che Napoleone sia stato al centro di tanti romanzi e poemi è la prosecuzione di questo incanto del reale, tanto più forte in quanto emerge dal mondo invece che essere escogitato nella testa di qualcuno. E oggi non c’è evento sorprendente che emerga dal mondo e che non possa nutrire il racconto. Credo che sia anche pensando a questa circostanza che, in un libro uscito pochi mesi fa, Alla ricerca del reale perduto , il filosofo francese Alain Badiou ha scritto: «Oggi dobbiamo essere convinti che, malgrado i lutti che il pensiero ci impone, cercare quel che c’è di reale nel reale può essere, è, una passione gioiosa ».
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