domenica 20 settembre 2015

Repubblica 20.9.15
A 250 all’ora verso Shanghai in sette minuti e venti secondi
Funziona a levitazione magnetica. Non tocca rotaie, traversine, fondo stradale, niente: resta sospeso, lo spinge solo l’attrito dell’aria
Consuma molto poco, è silente, ha il corpo di un siluro
di Gabriele Romagnoli


Il viaggio comincia adesso. È già finito. Sette minuti e venti secondi esatti è durato. Ogni istante segnato dal conto alla rovescia su un display digitale. Un soffio, come di vita esaurito in uno sforzo che sembrava pesare niente. Poi, certo, vedrai Shanghai, ma che altro importerà?
Ti perderai tra le due rive del Bund come in un conflitto tra un secolo e l’altro, tra le torri di Manhattan e i palazzi di Londra, visiterai hutong dove è stata concepita un’idea smarrita, berrai al Cloud 9, perso tra le nuvole cercando i bagni più belli del mondo, prima di ricordarti che stanno nell’omonimo a New York, dormirai al Peace Hotel, senza per questo raggiungere una tregua con i tuoi incubi, ti alzerai nel cuore della notte, vedrai la pioggia fuori dai vetri e uscirai con le ciabatte di stoffa bianca dell’albergo come il protagonista di Fare l’amore di Jean Philippe Touissant e che importa se quella era Tokyo e questa Shanghai, ci sono comunque vicoli ciechi in cui portare una storia a chiudersi con orgasmi a senso unico, mangerai prima dell’alba in un garage dove un cuoco ragazzino butta ortaggi in una pignatta molto più grande di lui, broda fumante, capelli gocciolanti, sguardi fissi, luci di cantieri a punteggiare lo sfondo, ogni bellezza risalta nel confronto, in qualche altra parte del mondo stanno impiccando un dittatore e la giustizia non è soltanto il cosa, ma anche il come, domani comprerai un indumento di vero cachemire, un quaderno a righe, una spilla rossa con la faccia di un uomo che guidò per decenni questo Paese, aspetterai l’inizio di un anno che altrove non è ancora finito, accetterai di dover ricominciare pure tu altrove, in un modo che ancora non sai, con chi incontrerai, questa è comunque la vita, un soffio: sette minuti e venti secondi.
Ripartirai. Riprenderai lo stesso treno che, alla fine, sarà stato il senso di tutto. Funziona a levitazione magnetica. Parto di ingegneri tedeschi, stregoni peruviani, operai cinesi. Non tocca rotaie, traversine, fondo stradale, niente, resta sospeso, lo spinge l’attrito dell’aria. Teorema di Earnshaw, centro di sperimentazione di Emsland, stabilizzazione tramite elettromagneti gestiti elettronicamente, parole che si arrotolano su se stesse per proteggere un mistero. Ci vorrebbe la scrittura di Maylis De Kerangal per destrutturarlo. Consuma poco, è silente, ha la faccia di uno schermo, il corpo di un siluro, non turba il paesaggio. In quei 7 minuti e 20 secondi percorre i 30 chilometri dall’aeroporto alla città. La velocità media è 250 all’ora. Supera spesso i 300. Talora i 400. Una volta i 500. Nessuno guarda fuori, tutti dentro: il display della velocità più ancora che quello del tempo rimanente. Viviamo così: ossessionati da quel che conquistiamo, anche se la conquista è niente (380, 413, oooooohhhhh, sono numeri, aria che si sposta, niente) e il tempo (ancora tre minuti per dirti, venti secondi per darti) è tutto.
La costruzione del treno volante ha richiesto due anni e mezzo e un miliardo di euro. È finita, il 2004. I cervelli stavano in Germania, in una torre di vetrocemento a Berlino, Postdammer Platz, dentro stanze ovattate con il logo della Transrapid. Le braccia stavano in Cina, un esercito abituato a obbedire, al controllo remoto e invisibile che trasmette ordini.
Andò tutto bene, a tal punto che si progettò un’espansione del sistema di trasporto, una rete capace di collegare le principali città della Cina, distanti tra loro come pianeti. Poi una mattina un prototipo della Transrapid che viaggiava nell’aria rarefatta di un luogo chiamato Osnabruech centrò un altro treno. Morirono 23 persone. Il treno volante non ha conducente. Suonò per questo strana la determinazione della causa della sciagura: errore umano. Il ministro dei trasporti tedesco era in Cina per una visita ufficiale, allo scopo di concludere accordi commerciali svaniti in meno di 7 minuti e 20 secondi, il tempo di una telefonata, convenevoli inclusi.
Il 21 aprile di quest’anno nella prefettura giapponese di Yamamashi un treno volante ha fatto apparire come prima cifra del display un 6 (603 km/h), i passeggeri hanno applaudito, nella lontana sala operativa ci sono stati sorrisi timidi, una mano ha sfiorato una spalla, qualcuno ha scattato una foto col cellulare allo schermo, finché il numero magico è sparito, sostituito da un altro che era nuovo ma rappresentava il passato.
Dal passato si fugge via più velocemente che da qualunque altra cosa e spesso non è perché ci spaventi o possa farci ancora male, è soltanto inevitabile. Ci facciamo trovare altrove in un baleno, con un diverso vestito, come se non fossimo mai stati davvero in quella camera d’albergo, su quel lungofiume, a Shanghai o in qualunque altra metafora.
Il più mattutino tra i viaggi del treno volante per l’aeroporto è alle 6 e 45 del mattino. La città è avvolta dalla nebbia, il convoglio è invisibile. Dovevo andarmene prima e più in fretta possibile, per convincermi di avere più tempo davanti.