Repubblica 18.9.15
Il dilemma Assad nelle strategie di America ed Europa per fermare la guerra
E tra gli attori si affermano la Russia e l’Iran appena sdoganato
Siria, gli Usa pronti a discutere con Mosca. Ecco alleati e nemici nella partita contro l’Is
di Paolo Garimberti
Quello che nel più classico dei linguaggi diplomatici viene chiamato il “quadrante mediorientale” è stato per lungo tempo piuttosto ordinato sul piano della geopolitica. Anche se non su quello della sicurezza e della stabilità militare. Le tessere del mosaico sono rimaste per decenni al loro posto, cementate dalle certezze della guerra fredda. Si sapeva chi stava con chi, chi dava aiuti finanziari e militari a chi, chi spiava chi (e per conto di chi).
Tanto è vero che quando, nell’ottobre del 1973, la guerra dello Yom Kippur (scatenata nel giorno più solenne del calendario ebraico dall’egiziano Sadat e dal siriano Hafez al-Assad, padre di Bashar) stava diventando minacciosa per la sicurezza e la stabilità economica dell’Occidente, Henry Kissinger, allora segretario di Stato, volò a Mosca dal suo “amico” Leonid Breznev e la guerra finì: bastarono un roco “ ostorozhny ” (state attenti!) di Breznev a siriani ed egiziani e un gutturale “ warning ” di Kissinger agli israeliani.
La guerra fredda è stata scongelata, anche se qualcuno parla precipitosamente di un suo ritorno, e le tessere del puzzle sono saltate in aria. Ricomporle è difficile, se non impossibile. Tante sono le variabili dopo l’11 settembre e dopo che è saltato il tappo di Saddam Hussein in Iraq. Giusto per citarne due, una politica e l’altra militare, il ritorno della Russia di Putin come pretendente playmaker nel “quadrante” e la nascita del cosiddetto Stato islamico, o Is. Ma si potrebbe aggiungere il ruolo ambiguo dell’Arabia Saudita o il ritorno sulla scena diplomatica dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare. E continuare elencando.
IL PIVOT ASSAD - Tutto ruota attorno alla figura (sinistra) di Bashar al-Assad, il dittatore siriano che da quattro anni sopravvive a una guerra civile e alla sfida dell’Is. Ridotto in pillole il dilemma è: sbarazzarsi di Assad e trattare con un governo di transizione, magari unendo gli sforzi militari per sconfiggere nel frattempo l’Is? O usare Assad come strumento per combattere l’Is, includerlo nel negoziato nel tentativo di creare un’unità nazionale e poi rimuoverlo? La risposta è diventata più complicata di quanto già lo fosse in sé da quando a confondere ancora di più le già confuse (e divise) menti americane ed europee è intervenuto il Cremlino.
LA VARIABILE PUTIN - La Russia non ha ancora ammesso di aver inviato carri armati e truppe in Siria o di stare costruendo una nuova base aerea a Latakia, la fortezza del regime di Assad. Ma il ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha riconosciuto che forniture militari sono state inviate in Siria insieme con “tecnici specializzati”. Qualcuno si è ricordato degli “omini verdi” in Ucraina, le truppe russe senza insegne che erano state inviate a combattere sotto copertura a fianco dei separatisti ucraini. Putin è intervenuto con il suo classico stile da giocatore di poker. In una conferenza a Dushanbe, capitale del Tadgikistan, ha detto che “se la Russia non avesse aiutato la Siria la situazione nel Paese sarebbe diventata peggio che in Libia” e il flusso di rifugiati sarebbe stato ancora più drammatico. Incoraggiato dal suo padrino geopolitico, Bashar al-Assad è uscito allo scoperto con una dichiarazione a uno dei media di Stato russi (guarda caso). In un appello ai ribelli ha detto in sostanza: unitevi a me e combattiamo insieme l’Is, invece di combatterci tra noi, perché soltanto dopo che gli estremisti islamici saranno stati sconfitti potrà esserci una soluzione politica alla guerra che ha devastato il nostro Paese.
I TORMENTI DI OBAMA - L’America è piuttosto confusa, come gli accade ormai un po’ troppo spesso sulla scena internazionale per colpa anche della disastrosa eredità lasciata da Bush figlio (l’Europa ancora peggio, confusa e divisa, con Cameron e Hollande che gonfiano i muscoli mentre sarebbe il caso di aguzzare i cervelli e trovare un filone di comune politica estera). Obama non sa se fidarsi della sirena Putin, che gli sussurra di unire gli sforzi per combattere l’Is in Siria, mettendo da parte per il momento il “problema Assad”. Il segretario di Stato John Kerry ha detto che il suo omologo russo Lavrov gli ha proposto un incontro di alti livelli militari per esaminare insieme la situazione siriana. Casa Bianca e Pentagono ci stanno pensando («Siamo pronti a discussioni tecniche e tattiche con Mosca sulla lotta all’Is», ha sottolineato ieri il portavoce della presidenza). In teoria l’interesse comune di America e Russia è di distruggere il mostro del sedicente Stato islamico. E il negoziato sul nucleare iraniano ha dimostrato che Washington e Mosca possono lavorare insieme se l’obiettivo è condiviso, nonostante il gelo provocato dall’Ucraina. Urge un incontro al vertice, franco e sincero. L’imminente Assemblea generale dell’Onu offre lo spunto diplomatico e la location politicamente corretta.
LE ANGOSCE DI ISRAELE - L’espansionismo militare russo in Siria ha avuto l’effetto della carta vetrata sui nervi degli israeliani. I portavoce di Benjamin Netanyahu hanno fatto sapere che il primo ministro ha programmato di recarsi a Mosca per parlarne direttamente a Putin. E’ soprattutto l’allargamento della base di Latakia a inquietare Israele: potrebbe diventare un hub per attacchi aerei in tutta la regione creando una minaccia supplementare per la sicurezza israeliana. Ma c’è altro. Le forniture militari russe per la Siria di Assad potrebbero finire ad altri destinatari nemici giurati di Israele, a cominciare dagli Hezbollah in Libano. Di sicuro Israele non sarebbe tanto felice di un’azione congiunta russo-americana per la Siria: un altro macigno sulle già pessime relazioni tra Obama e Netanyahu.
LE INCOGNITE REGIONALI - Ci sono altri attori che possono influenzare l’esito della guerra siriana e della lotta contro l’Is. Il primo è certamente l’Iran, che ha un peso politico, una qualità di “intelligence” e capacità militari per avere un ruolo molto pesante. La determinazione con la quale Obama, la stessa Europa (una volta tanto intonata attorno alla figura dell’Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini) hanno perseguito l’accordo sul nucleare, lo spirito di cooperazione mostrato finalmente dalla Russia sono frutto della stessa convinzione: se l’Iran rientra in gioco ha la capacità di spostare il peso della bilancia nel quadrante mediorientale. Un’incognita è l’ambiguità dell’Arabia Saudita, sempre più inaffidabile per il suo storico alleato americano. Thomas Friedman, il più rispettato (e temuto, anche da Obama) columnist americano di politica internazionale ha scritto, con una netta scelta di campo in favore dell’accordo con Teheran: “Il vero pericolo non è l’Iran, ma sono i sauditi. Che hanno spazzato via il pluralismo dell’Islam, i sufi, i sunniti moderati, gli sciiti per imporre il salafismo wahabita, puritano, anti-moderno, anti-femminile, anti- occidentale, anti-pluralista”. Una visione molto pericolosamente vicina a quella dei macellai dell’Is. E, per continuare senza peraltro esaurirle, nella lista delle incognita va messa anche la Turchia, una volta pilastro della Nato nella regione e oggi banderuola che si muove secondo i disegni (spesso oscuri) di Erdogan.
SENZA FINE - Difficile immaginare come si possa ricomporre decentemente il puzzle. Il vecchio, saggio e cinico Henry Kissinger forse suggerirebbe di allearsi con Putin per combattere e contenere l’Is, usando Assad come pivot, appunto. Salvo poi toglierlo di squadra (Putin gli darebbe di certo una buonuscita) una volta negoziato un accordo con tutte le parti e un meccanismo di “peacekeeping” efficiente. Ma dalla guerra dello Yom Kippur sono passati molti, troppi anni: le ricette di Kissinger potrebbero essere scadute. E la guerra in Siria potrebbe durare ancora a lungo. O addirittura non finire mai. Come quella in Iraq.