venerdì 18 settembre 2015

Repubblica 18.9.15
Il cardinale Maradiaga e la visita negli Usa e sull’isola
“Dal viaggio di Francesco nuova svolta per Cuba”
di Marco Ansaldo


CITTÀ DEL VATICANO «IL viaggio del Papa a Cuba è un passo avanti della Chiesa. E i discorsi che negli Stati Uniti Francesco farà al Palazzo di Vetro e davanti al Congresso conterranno una grande forza. I frutti si vedranno al ritorno, quando il Pontefice affronterà il Sinodo delle famiglie, e al suo termine uscirà una Chiesa vestita a festa e piena di misericordia». Tradotto: il Papa latinoamericano, che brandisce il messaggio della misericordia e delle riforme nella Curia, uscirà vincitore dallo scontro con i conservatori.
Due mesi di convalescenza per un intervento alla gamba non hanno distolto il cardinale Oscar Andrés Rodrìguez Maradiaga - in tasca un brevetto da pilota aeronautico, un diploma di pianoforte e sassofono, e studi di chimica e teologia - né dalle sue passioni né dal suo incarico di capo delle riforme in Vaticano. «L’ottimismo dei medici mi ha fatto illudere, pensando che mi bastasse un mese per curarmi completamente. Sto però molto bene, con gran voglia di lavorare ». Il suo amico Jorge Mario Bergoglio parte domani per l’Avana, per il suo decimo viaggio all’estero che lo porterà poi a Washington, New York e Philadelphia. Dieci giorni di visita in quello che sarà finora l’itinerario più lungo del suo pontificato. Tappe fondamentali che Maradiaga, 72 anni, arcivescovo di Tegucigalpa, grande “king maker” dell’ultimo Conclave e considerato dagli osservatori come il vice-Papa, segue da honduregno con estrema attenzione.
Cardinale Maradiaga, lei conosce bene i problemi dell’America Latina: quale risultato si aspetta da Cuba?
«I risultati di una visita papale non sono immediati né automatici: deve passare del tempo prima che il seme piantato possa maturare e dare i frutti. Ma indubbiamente la sua presenza a Cuba sarà un punto fondamentale per l’isola. Abbiamo visto come la gente si sta preparando all’arrivo del Santo Padre e io non posso dimenticare le parole di San Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba”. Dopo la visita fatta anche da Benedetto XVI, la visita di Francesco è un passo avanti».
Più che mai Francesco è un Papa pastore, dunque, che va incontro alla sua gente là dove lo chiama?
«Per me il Santo Padre è certamente un Papa pastore, però credo che ancor di più sia un pastore che è arrivato a essere Papa. E proprio per questo va a cercare le pecore che stanno lontano dai valori del Vangelo».
Negli Stati Uniti ci saranno due momenti chiave. Sarà la prima volta di un Papa davanti al Congresso americano. Ma Francesco, dopo l’Enciclica “Laudato sì”, molto in linea con le questioni ambientali e dura contro il potere del petrolio, potrebbe incontrare critiche da parte dei conservatori?
«Guardi, io sono certo che le critiche non lo toccano. E poi è normale che all’interno di un Congresso ci siano pareri diversi ».
Altro punto caldo: il discorso all’Onu. Come sarà?
«Il Papa parlerà con molta autorevolezza e farà un discorso di grande forza».
E al suo ritorno si aprirà un momento decisivo, con il Sinodo dei vescovi, e un decisivo confronto interno. Quale Chiesa uscirà dopo ottobre?
«Dal Sinodo uscirà una Chiesa vestita a festa e piena di misericordia ».
Ma lei che è a capo dei 9 cardinali che si occupano delle riforme, quale obiettivo finale e concreto ha?
«Vede, la cosiddetta “riforma” deve toccare le vite, cioè deve toccare le persone e suscitare un rinnovamento spirituale di quanti lavorano in Vaticano. Lo stesso nella Chiesa universale. Perché penso che niente sia più concreto della persona in sé. E ritengo che questa “riforma” si riferisca più alle persone che agli uffici».
Signor cardinale, c’è anche un tema attuale e doloroso a livello internazionale: quello dei migranti. Come risolverlo?
«Il tema umanitario dei migranti si potrebbe risolvere con la volontà politica di affrontare il fenomeno. Se non si comprendono le cause, non si controllano gli effetti. E queste sono: la povertà, la violenza, l’insicurezza, la guerra e la persecuzione religiosa».