giovedì 17 settembre 2015

Repubblica 17.9.15
Lévi-Strauss
Di questa nostra epoca misteriosa non resterà nulla
Il ricordo di un incontro col grande antropologo di cui escono gli articoli scritti per “Repubblica”
di Bernardo Valli


Il mio mestiere mi ha insegnato a pensare non in termini di decenni e neanche di secoli L’invenzione del vasellame è stata più importante delle scoperte di oggi
Il testo di Valli è la postfazione a Siamo tutti cannibali ( il Mulino pagg. 170, euro 14 con prefazione di Marino Niola) Il volume è una raccolta di scritti che Lévi-Strauss pubblicò su Repubblica dal 1989 al 2000ß

Prima di raggiungere l’appartamento del Sedicesimo Arrondissement, a due passi dalla Senna e dalla Maison de la Radio, sfogliai “Tristi tropici” e ne rilessi alcuni passaggi. Non avevo detto a Claude Lévi-Strauss il motivo dell’incontro. Né lui si era dimostrato curioso. Era un puntuale collaboratore di “Repubblica” (era stato Pietro Citati a convincere lui e il medievalista Georges Duby a scrivere per le nostre pagine culturali), e con la redazione parigina, che faceva da tramite, aveva ormai un rapporto se non assiduo garbato. È dunque approfittando di questo modesto legame che quel giorno di dicembre andai a casa di Lévi-Strauss armato di numerose e ambiziose intenzioni. Avrei voluto anzitutto che mi parlasse del
romanzo che aveva cominciato a scrivere a Parigi, di ritorno dal Brasile nei mesi precedenti alla guerra del ’39. Romanzo che avrebbe probabilmente avuto come titolo Tristi tropici , lo stesso adottato quindici anni dopo per il saggio, in cui la magia della scrittura fa dimenticare facilmente che non si tratta di una fiction. Nelle prime pagine del romanzo abbandonato figurava la descrizione del tramonto («ces cataclysmes surnaturels ») osservato dal ponte della nave diretta nell’America del Sud, descrizione poi recuperata, insieme al titolo, nel saggio pubblicato nel ’55. Lévi-Strauss trovò che le prime pagine del romanzo erano «un pessimo Conrad» e abbandonò per sempre l’idea di lanciarsi nella narrativa pura. La trama immaginata e gettata nel cestino era la vicenda di un viaggiatore che in Oceania usa un grammofono per ingannare gli indigeni e farsi passare per un dio. Mi sarebbe piaciuto descrivere il «mancato Conrad» diventato uno dei grandi intellettuali del secolo.
La prima domanda che mi proponevo di rivolgergli era dunque già pronta: «A trent’anni lei voleva usare i suoi viaggi tra gli indiani Kaingang, Caduveo e Boroboro, come Conrad usò i suoi viaggi di mare nei romanzi? In questo caso, se avesse avuto successo come romanziere, il suo destino sarebbe radicalmente cambiato? ». Mi affascinava appunto l’idea del mancato romanziere che per ripiego si dedica interamente all’etnologia, sia pur scrivendo, per nostra fortuna, anche di musica, di pittura, oltre che di letteratura. Qualche volta di poesia. Un Lévi-Strauss che ha rinunciato a inventare trame esotiche, ritenendo di non avere un talento adeguato, e che ha invece raccontato scientificamente civiltà «selvagge», traendone una morale irrinunciabile. Morale secondo la quale una società educata non può essere scusata per il solo crimine veramente inespiabile dell’uomo: peccato che consiste «nel credersi durevolmente o temporaneamente superiore e nel trattare degli uomini come oggetti: in nome della razza, della cultura, della conquista, della missione o semplicemente dell’espediente ».
La mia ambizione si è sgonfiata in pochi secondi quando mi sono trovato davanti Lévi-Strauss, più che novantenne, ironico, forse divertito, del mio iniziale, prolungato silenzio, durante il quale valutavo l’opportunità di affrontare un tema tanto remoto e intimo. In definitiva gonfiato dalla mia immaginazione. Lasciai dunque cadere, saggiamente, il tema del mancato Conrad, e scivolai nel contrario: cioè nella stretta, banale attualità. Gli chiesi cosa pensasse della moneta unica europea che in quei giorni entrava o stava entrando in servizio.
Rise. «Cosa c’entra un antropologo? Non sarebbe stato meglio rivolgersi a uno storico? Io mi occupo di selvaggi», si schernì. Per difendermi ricordai un vecchio testo di Merleau-Ponty, il filosofo amico di Lévi-Strauss, scritto in occasione della nomina di quest’ultimo al Collège de France. In quel testo si parlava di un’opera fondamentale per l’antropologia sociale: Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche ,
di Marcel Mauss. Il tema ricorre ovviamente nelle opere di Lévi-Strauss. Perché non recuperare l’argomento e allacciarlo alla vita d’oggi?
Alla mia candida, ingenua reazione il padrone di casa venne in mio soccorso. Mi disse: «Allo scoppio della guerra, nel ’14, avevo sei anni e andai in banca a offrire le monetine che possedevo per la difesa della patria. I franchi erano allora d’oro». Per lui la svolta nel rapporto col denaro è avvenuta quando si è passati dalle monete metalliche a quelle di carta. Quella è stata la vera rottura. Quanto a una moneta indipendente dai governi nazionali, era a suo avviso una fortuna. Può darsi che tutto finisca in un disastro, ma non sarà un disastro peggiore di quello provocato puntualmente dai politici sul piano monetario.
«Vede – aggiunse – il mestiere di etnologo mi ha insegnato progressivamente a pensare non in termini di decenni, e neppure di secoli, ma di millenni, anzi di decine di millenni, dunque quando parlo di questo secolo penso che tra due o tremila anni non se ne saprà più nulla. Immagini tra venti o trentamila. Pensiamo a tante cose come importanti ma se le collochiamo nel tempo scompaiono. Ciò non toglie che mi interessino».
Gli chiesi allora cosa era stato fatto, ad esempio, di tanto importante decine di migliaia di anni fa da esserlo ancora oggi. Disse: «Certamente l’invenzione del vasellame, della ciotola per prima, e del tessuto che usiamo ancora. Sono cose più importanti di quelle che si scoprono adesso e di cui non sappiamo se resteranno tali, cioè importanti, nei millenni a venire ».
Neppure la bomba atomica con la quale l’uomo ha costruito qualcosa che può distruggere l’umanità? «Non sono sicuro che sia vero.
Anche se si fanno esplodere tante atomiche insieme non sono certo che si distruggerebbe l’umanità intera ». Non resteranno neppure le scoperte nella genetica? «Sì, penso che resteranno.
Ma via via che si faranno delle scoperte ci si accorgerà che è molto più complicato di quel che si immaginava. Il mondo, la vita sono assai più misteriosi oggi di quanto lo fossero uno o due secoli fa. Perché allora si pensava che fossero semplici». E la cosiddetta globalizzazione, che rimpicciolisce il mondo, sul piano economico e su quello dell’informazione, diventata simultanea sull’intero pianeta? «Non è una cosa che mi rallegra – mi disse Lévi-Strauss – Penso che le differenze siano più interessanti.
Quando era tutto molto diverso, il cinese poteva aspettarsi molte cose da noi, e noi da lui. Adesso che siamo quasi uguali possiamo aspettarci molto poco uno dall’altro. Immagino che tante differenze riaffioreranno. Presto».
Il mondo rimpicciolito dalla velocità delle comunicazioni, dei trasporti, ha ucciso, per lui, anche il viaggio esotico, come esisteva un tempo. Era già minacciato al tempo di Tristi tropici.