lunedì 14 settembre 2015

Repubblica 14.9.15
Il rischio calcolato di Palazzo Chigi e l’effetto Corbyn sulla sinistra
Il clima generale del paese è migliorato dall’economia all’immigrazione Ma la svolta del Labour potrebbe tentare un pezzo della sinistra italiana
Nella minoranza Pd c’è chi vuole scoperchiare il vaso di Pandora
di Stefano Folli


PER la prima volta l’ombra di una mediazione sfiora la scabrosa questione dell’articolo 2 della riforma del Senato. Il tema riguarda in primo luogo, come è noto, il fronte interno del Pd, ma tocca in diversa misura lo spettro più ampio dell’opposizione parlamentare. Quello del senatore Tonini è sembrato essere il classico “ballon d’essai” per tastare il terreno e capire fino a che punto la minoranza del partito democratico è disponibile a un’intesa generale, una volta ottenuta soddisfazione sul punto cruciale dell’elezione diretta, e quanto invece il fatidico art. 2 è solo un grimaldello per mettere Renzi con le spalle al muro.
Allo stato delle cose, questo interrogativo non ha una risposta definitiva. È chiaro che nella minoranza c’è chi vuole davvero ottenere quel che dichiara: una forma di elezione diretta dei neo senatori, insieme a un sistema di garanzie tale da riconoscere al nuovo Senato alcune funzioni istituzionali meglio definite nel sistema ormai monocamerale. Vannino Chiti è senza dubbio fra questi. Ed è plausibile, d’altronde, che ci sia anche chi sogna l’apertura del vaso di Pandora: piegare il premier al compromesso sull’art. 2 per costringerlo a cedere su molto altro (come quando si tira un filo e pian piano si disfa tutto il golf). Il rischio c’è, ma per Renzi sarà sempre inferiore al pericolo di andare in aula a Palazzo Madama senza la sicurezza dei suoi voti.
È proprio questa certezza che manca. Finora le blandizie e le minacce non hanno avuto grande effetto nei confronti di quei circa 28 dissidenti (da 25 a 30 secondo i calcoli) che dicono “no” alla riforma così com’è. Nemmeno il fantasma delle elezioni anticipate, evocato in modo peraltro poco credibile in ambienti vicini a Renzi, è servito allo scopo. Un po’ meglio funziona la ricerca di consensi esterni alla maggioranza, ma si tratta pur sempre di singoli personaggi votati al trasformismo. Quel che non sfugge al presidente del Consiglio è che la riforma della Costituzione non può passare grazie a qualche transfuga come se si trattasse di un decreto legge minore. Specie se lascia una ferita politica dentro il Pd su un tema di impatto democratico qual è l’elezione diretta o indiretta dei rappresentanti del popolo. E i sondaggi che segnalano una schiacciante maggioranza dell’opinione pubblica a favore dell’elezione diretta qualcosa vogliono dire.
Q UINDI ci sono, sì, dei rischi in una vera trattativa sull’art. 2. Ma ogni alternativa presenta controindicazioni non meno spinose. In definitiva i messaggeri renziani devono riuscire a tenere il coperchio sul vaso di Pandora. Ci si aspetta che siano flessibili ma anche abbastanza abili da tessere il filo del negoziato senza farsi sfuggire di mano l’intero gomitolo. Lo sfondo su cui si gioca la partita è in parte favorevole al premier, ma solo in parte. Il clima generale nel paese è più positivo rispetto a tre mesi fa. Le cifre della ripresa economica sono modeste, ma la recessione sembra davvero finita. Qualche minimo margine di flessibilità europea sui conti pubblici si direbbe a portata di mano. La stessa svolta tedesca sull’immigrazione riporta l’Unione sul terreno della politica, abbandonando l’arido scacchiere della tecnocrazia e del mero egoismo nazionale. Sono elementi favorevoli al disegno renziano.
Esiste tuttavia il rovescio della medaglia. L’emergere in Gran Bretagna di un laburista come Corbyn potrebbe diventare una tentazione irresistibile per un segmento della sinistra italiana in cerca di una bandiera da opporre al tardo-blairismo di Renzi. In effetti Corbyn è un po’ l’antitesi dell’attuale leader del Pd. Un’alleanza nelle cose fra l’inglese, gli spagnoli di Podemos e i seguaci di Yaroufakis, assai più che di Tsipras, in Grecia non sarebbe un progetto di governo, ma potrebbe spingere gli avversari di Renzi a forzare la mano in Italia. Magari sfruttando l’occasione che si presenta al Senato. Il tema della scissione a sinistra non è ancora all’ordine del giorno, eppure da oggi in poi potrebbe cominciare a prendere forma.