giovedì 10 settembre 2015

Repubblica 10.9.15
È “shabbat” niente calcio la battaglia di Israele
Gli ultraortodossi piegano la federazione: campionato fermo nel giorno sacro.E sabato stadi chiusi
di Fabio Scuto


GERUSALEMME LA PRIMA battaglia della “guerra del football” l’hanno vinta i religiosi ultraortodossi e per la prima nella storia di Israele, sabato gli stadi resteranno vuoti di giocatori e di tifosi sugli spalti, tv e radio saranno mute. Il calcio in Israele si ferma a oltranza da dopodomani, ma non basta perché in nome del rispetto assoluto dello shabbat i “timorati di Dio” si sono scagliati contro i negozi aperti 24 ore (e quindi anche il sabato) contro il nuovo cineplex di Gerusalemme “Planet”, contro i negozi dello shopping mall a Mamilla.
Nella Città Santa il rispetto deve essere totale tuonano i gruppi religiosi mobilitando la loro gente nelle strade, nelle piazze, cercando di impedire le aperture durante il giorno che deve essere santificato. «L’imposizione religiosa sta cercando di ridisegnare lo stile di vita secolare in Israele», avvertiva la scorsa settimana il quotidiano liberal Haaretz sulla crescente interferenza degli ebrei ultra-ortodossi (circa il 10% della popolazione) nella vita quotidiana di tutti i cittadini. I due partiti dei “timorati” – lo Shas, con sette deputati, e l’Unione della Torah e dell’ebraismo, con sei - sono determinanti nella sopravvivenza del governo del premier Benjamin Netanyahu uscito dalle elezioni di marzo. Da allora sono cresciuti esponenzialmente i divieti dello shabbat, il giorno sacro ebraico che corre tra venerdì sera e sabato e nel quale, tra le altre cose, è vietato lavorare, accendere il fuoco, guidare l’auto, telefonare, pedalare in bicicletta o premere il pulsante dell’ascensore.
La serrata, annunciata dalle autorità sportive, è arrivata dopo che l’Israel Football Association ha appreso nelle settimane scorse che i calciatori tesserati non sono esentati dal divieto generale di lavoro in Israele nel giorno del riposo sabbatico. Autorizzando adesso lo svolgimento di partite - dopo essere stati apertamente avvertiti da un tribunale - rischierebbero di compiere un’infrazione di carattere penale, che si vorrebbe evitare.
All’origine della crisi c’è una lacuna nella legge israeliana, ignorata da decenni durante i quali tutti i campionati di calcio si sono svolti di sabato, con botteghini aperti per il pubblico e trasmissioni in diretta dagli stadi. Ma il mese scorso alcuni giocatori religiosi del “Negev” si sono rivolti ad un tribunale locale per imporre alla loro squadra di non giocare per non infrangere la loro fede. E la donna-giudice che ha esaminato il caso si è vista costretta ad accogliere la loro richiesta, sulla base della legge in vigore che vieta appunto agli ebrei di lavorare di sabato in assenza di esoneri specifici. Esoneri di questo genere (ospedali, polizia, pompieri, servizi di emergenza) devo essere chiesti al ministro dell’economia, Arye Deri. Ma essendo egli un rabbino del partito ortodosso Shas è improbabile che voglia accogliere una richiesta del genere. La ministra della Cultura e dello Sport Miri Reghev (Likud) ha proposto una moratoria di due mesi, durante i quali spera si trovi un compromesso. Ma il tempo è scaduto e a quanto pare questo sabato gli stadi resteranno deserti.
Certo lo stop forzato ai campionati di tutte le categorie investe milioni di sportivi e tifosi in tutto il Paese, ma è soprattutto a Gerusalemme che la pressione “religiosa” si è fatta fortissima. Adesso il sindaco conservatore Nir Barkat – che ha nella sua giunta il 30% di consiglieri ortodossi, vuole che anche i supermarket “24 ore” chiudano anche di sabato, pena un’ammenda di 1.500 shekel (circa 340 euro). L’ordine di chiusura doveva iniziare questo fine settimana, ma la rivolta dei commercianti e le manifestazioni di protesta annunciate hanno spinto il Consiglio a rinviare la decisione fino a fine mese.