mercoledì 2 settembre 2015

La Stampa 2.9.15
Il fascino perduto del “dottore”
di Walter Passerini


È l’8 settembre degli aspiranti medici. I nipotini di Ippocrate sosterranno il test in una data fortemente simbolica, consapevoli che è sempre più difficile realizzare il loro sogno. Calano gli iscritti ai test (60.639) e calano i posti disponibili (9513), un terno al lotto che premia solo un giovane su sei.
Anche per chi sceglie come alternativa il test di medicina in lingua inglese la speranza è poca (i posti sono calati da 5 mila a meno di 4 mila). Qualcuno afferma che 400 mila medici in Italia sono troppi e che presto molti giovani che entrano conosceranno la disoccupazione, ma sono affermazioni apodittiche non dettate dalla realtà. La professione medica nasconde malessere e disagio. La passione dei giovani per la medicina li ha scavalcati per anni, fino a che il percorso si è fatto sempre più duro, riempiendosi di ostacoli e sbarramenti. Ora il paradosso è che tra cinque anni in Italia vi sarà scarsità di medici: da qui al 2020 il grosso dei medici baby boomer andrà in pensione (i nati tra il 1950 il 1954), lasciando così scoperti molti posti e mettendo a nudo l’incapacità programmatoria. Ma quali sono le ragioni che oggi vedono i giovani allontanarsi dalla professione medica? Eppure il 95% dei laureati risulta occupato a cinque anni dalla laurea, un primato tra tutte le lauree, ma il cammino non è tutto rose e fiori. A determinare la relativa disaffezione di aspiranti matricole sono la confusione e i polveroni che hanno ammorbato i test, delegittimati da quiz, ricorsi al Tar e reimmissioni. La durata del corso di laurea è un forte deterrente: sei anni di laurea più sei di specializzazione per diventare medico ospedaliero. C’è poi l’incertezza delle forche caudine per gli specializzandi: 12 mila lo scorso anno per 5 mila posti. Tenendo fuori i giovani nel frattempo la professione invecchia: l’età media è di 56 anni. Sotto accusa è la capacità di prevedere i futuri fabbisogni professionali dei medici, in una società che cambia e con l’avvento di nuove patologie che reclamano nuove specializzazioni. La fuga dai test va alla ricerca di alternative verso lauree affini e scientifiche meno impermeabili. Dall’estero cantano molte sirene: alcuni Paesi offrono iscrizioni a medicina senza test d’ingresso (Spagna, Romania, Svizzera e altri), ad alto prezzo ma con ritorno a casa al secondo anno. Altri cambiano cavallo in corsa e concorrono a un posto nelle ambitissime 22 lauree sanitarie (infermieristica, fisioterapia, logopedia e le altre), che registrano il 90% di occupati a cinque anni dalla laurea triennale (25 mila i posti disponibili, di cui 15 mila per infermieri). Intanto la professione medica si indigna alla notizia della stipula di una convenzione tra l’università romena di Galati, Dunarea de Jos, Regione Sicilia e l’Università Kore di Enna, finalizzata all’attivazione da questo anno di un corso di laurea in medicina e farmacia e di un corso di laurea in infermieristica, al di fuori della programmazione dei fabbisogni di medici definiti dalla normativa. Ma quasi nessuno irresponsabilmente pensa all’imminente «gobba» pensionistica del 2020.