La Stampa 25.9.15
Riforme, tensione Pd-Grasso sui tempi della votazione finale
Il presidente del Senato: “Non faccio il boia della Costituzione”. Il partito voleva votare l’8 ottobre, si andrà invece al 13 . Sel e Lega ritirano molti emendamenti
di Carlo Bertini
Se è vero che dopo l’accordo che ha riunito il Pd e messo al riparo i numeri ora il problema della riforma costituzionale è la tempistica, il protagonista diventa Roberto Calderoli. I suoi 75 milioni di emendamenti, 10 li ha già sforbiciati ieri, impensieriscono un poco le guarnigioni renziane. Per il resto tranquille dopo aver verificato pure nei voti procedurali di ieri che la maggioranza rinforzata dall’asse con il gruppo di Verdini regge bene. Ma sopra Calderoli, il protagonista principale è il Presidente del Senato. Il quale nella capigruppo convocata ieri per stabilire il calendario dei lavori, di fronte alle pressioni del Pd di fissare la cosiddetta «ghigliottina», cioè il voto finale, l’8 ottobre, esclama «io non faccio il boia della Costituzione!», cioè non voglio essere quello che la fa cadere sulla testa della riforma costituzionale. Dopo questa apertura alle opposizioni, fatta «con l’obiettivo di portare l’aula a discutere e votare», la De Petris di Sel ritira i suoi 62 mila emendamenti, Calderoli una decina di milioni, lasciandone 19 all’articolo uno, 6 all’articolo due. Da martedì si voteranno i primi due articoli e restano questi giorni di trattativa con governo e maggioranza sulle competenze delle regioni per fare rientrare nel cassetto l’altra valanga di richieste. Tanto più che Salvini sbuffa, «85 milioni di emendamenti li terrei per qualcosa di più serio, legge Fornero, studi di settore, immigrazione. Su quello sì faccio le barricate. Sul Senato facciano quello che vogliono, purché facciano in fretta».
Il 14 ottobre unioni civili
Nella lunga contesa tra capigruppo, Luigi Zanda ingaggia un braccio di ferro con Grasso sulla data ultima entro cui approvare il Ddl Boschi perché il Pd vorrebbe «calendarizzare» in aula anche la legge sulle unioni civili, cioè cominciare almeno la discussione generale e dar mostra di buona volontà rispetto agli impegni presi di fare presto con una norma tanto attesa. E la data del 13 sembra troppo in là, poiché il 15 ottobre avrà inizio la sessione di bilancio, ovvero arriverà in Senato la legge di stabilità, e tutti gli altri lavori verranno congelati. Quindi verrà usata la finestra del 14 ottobre per avviare la legge in aula.
Se il Pd reagisce irritato, Sel, Conservatori e riformisti e grillini apprezzano lo «sforzo di mediazione» di Grasso. Anzi, in aula i grillini lodano «la saggezza del Presidente che ha evitato la ghigliottina anticipata». In aula, prima dei voti sul calendario e sulla richiesta delle opposizioni di tornare in Commissione, la Boschi tende la mano, «fino all’ultimo non lasceremo nulla di intentato per un accordo ampio, ma sia chiaro che non possiamo accettare veti da parte di nessuno, perché sappiamo che questa è la volta decisiva».
Il «supercanguro»
Ma se Grasso confida a far votare tutti gli articoli e su un atteggiamento non ostruzionista dell’opposizione - gli uffici calcolano che gli emendamenti di merito sono solo 3 mila - i renziani restano guardinghi e preparano le contromosse cautelative: la richiesta del senatore Russo a Calderoli di dimostrare di aver firmato tutta la sua valanga di proposte, altrimenti da regolamento non sarebbero valide. Il «supercanguro» di Stefano Esposito, emendamento con tutti i capisaldi della riforma, che se votato per primo farebbe cadere tutte le votazioni sugli altri emendamenti: espediente usato per l’Italicum che fece cancellare 35 mila emendamenti in un colpo solo. Mosse procedurali usate come deterrenti, «ma vorremmo evitarle procedendo ad una discussione di merito», spiegano dal gruppo Pd. Insomma si punta ad un ritiro, cioè ad un disarmo di Calderoli nei giorni a venire, previo accordo, ancora tutto da trovare.