martedì 1 settembre 2015

La Stampa 1.9.15
Senato, Grasso e la giunta fanno paura ai renziani
Un solo articolo il cavallo di Troia per migliaia di emendamenti
di Francesca Schianchi


Dalle parti di Renzi tengono d’occhio con preoccupazione chi il presidente del Senato Pietro Grasso deciderà, eventualmente, di consultare. La scelta di riaprire o meno l’art. 2 della riforma del Senato, il cuore della legge, spetta a lui e lui solo. Che ha «passato l’estate a studiare le audizioni dei costituzionalisti», come ha spiegato ieri smentendo un’indiscrezione di stampa che lo dava già deciso a riaprire l’articolo conteso: «Fantapolitica», perché «c’è ancora tempo prima che sia chiamato a esprimere le mie decisioni».
I precedenti
Ma può chiedere anche altre «consulenze», ad esempio alla Giunta per il regolamento: «E peggio mi sento!», sospira un renziano che sta seguendo la questione. Già, perché in quell’organo di Palazzo Madama, su 13 componenti (il quattordicesimo è proprio Grasso), sette stanno all’opposizione, sei con la maggioranza. Esito scontato di un eventuale verdetto: l’art. 2 della legge va riaperto. Il presidente poi potrebbe pure contraddire la Giunta, ma è un’ipotesi che viene vista come improbabile. Allo stesso tempo, però, in rapporto ai precedenti, accanto a un timore i renziani coltivano anche una speranza, legata alla presidente di Commissione Anna Finocchiaro: a meno che non si decida di saltare il passaggio in Commissione, è lei che, per prima, dovrà decidere sull’ammissibilità degli emendamenti. E lei considera la discussione sul Senato elettivo un modo per ricominciare da capo: non significa una decisione già presa, ma è abbastanza per far sperare i renziani che rigetti gli emendamenti creando un precedente «positivo» di cui Grasso dovrà tener conto. O che, in realtà, abbiano già discusso insieme: «Ogni decisione dovrà trovare di concorde avviso» i due presidenti, aveva detto lei.
Il nodo dell’articolo 2
Tutto gira attorno all’articolo 2 della legge, che, al comma 2, parla delle modalità con cui si eleggono i senatori. Secondo i renziani, quel punto è ormai intoccabile, perché approvato identico da Camera e Senato. Ma siccome in un altro comma, il quinto, dedicato alla durata in carica dei senatori, la Camera ha modificato una preposizione, secondo opposizioni e minoranza Pd su tutto l’articolo si può riaprire la discussione introducendo il Senato elettivo. Se l’interpretazione di Grasso fosse invece che si può cambiare solo il comma 5 e non tutto l’articolo, allora decadrebbero i 500mila emendamenti e il Senato resterebbe a elezione indiretta. «Il presidente ha in mano il bandolo della trattativa: se non riapre all’emendabilità dell’art. 2, il caso è chiuso; se passa il principio che si può emendare, allora è un problema», sintetizza il senatore renziano Giorgio Tonini.
Il gioco del cerino
È il gioco del cerino, ragionano i renziani: se quell’articolo non si può più modificare, la minoranza avrà un solo voto a disposizione sull’articolo «per far saltare tutto»; se invece si riapre a tutte le modifiche, allora nella massa degli emendamenti, è probabile che la minoranza riesca a farne passare uno. E Renzi? «Che potrà fare? Dovrà abbozzare. Avrebbe vinto la minoranza». Ecco perché la decisione di Grasso «è quella con la D maiuscola», dice Tonini. «Io non faccio pressioni su Grasso, ma mi aspetto che, se decide di far rivotare tutto l’articolo, sgomberi il campo dagli emendamenti ostruzionistici», dice il renziano Stefano Esposito, l’inventore, in occasione dell’Italicum, di un «super canguro» per aggirare 35mila emendamenti. Ora, occhi puntati su Grasso. E sulla Finocchiaro.