domenica 20 settembre 2015

Il Sole Domenica 20.9.15
Buona divulgazione
La scienza secondo Weinberg
Il premio Nobel 1979 racconta con formule e dimostrazioni molto chiare lo sviluppo di fisica e astronomia dai greci a Newton
di Ermanno Bencivenga


 Steven Weinberg è un fisico americano che, dopo aver insegnato all’Università di California, al Mit e a Harvard, lavora dal 1982 all’Università del Texas a Austin. Nel 1979 ha conseguito il premio Nobel per la scoperta dell’interazione elettrodebole. Ultraottantenne e in possesso di ammirevole energia e lucidità, ha da tempo rivolto il suo interesse alla storia della scienza. Per un decennio ha tenuto corsi sull’argomento e ora ha pubblicato To Explain the World: The Discovery of Modern Science, che racconta lo sviluppo di fisica e astronomia dagli antichi greci alla sintesi newtoniana.Le tre tesi che organizzano il libro sono suggerite dal suo titolo e sottotitolo e dal brevissimo sunto che ne ho appena dato. Primo, Weinberg sostiene che la scienza moderna è stata scoperta, non inventata. La sua è una posizione fortemente (e ingenuamente) realista: il mondo è quel che è e aspettava solo di essere scoperto, così come aspettava solo di essere scoperta la disciplina (la scienza moderna, appunto) che ne rivelasse la struttura. Secondo, la scienza non si limita a descrivere il mondo, ma lo spiega. Weinberg ammette che è difficile distinguere fra descrizione e spiegazione e che il suo concetto di spiegazione è impreciso; quando cerca di precisarlo, sottolinea il fatto che, per esempio, le leggi di Keplero (le quali descrivono il moto dei pianeti) possono essere dedotte, e quindi spiegate, dalla meccanica di Newton. Il che, a un osservatore poco benevolo, potrebbe sembrare un semplice passaggio a un livello di descrizione più elevato; ma è indubbio che Weinberg alla parola «spiegazione» ci tiene, in quanto evoca, sia pur vagamente, una maggiore penetrazione nei «misteri» della natura.In terzo luogo, la scienza moderna è da lui identificata con fisica e astronomia – anzi, in vista delle sintesi newtoniana e postnewtoniane, con l’astrofisica.
Ne rimangono fuori, da un lato, la matematica e dall’altro chimica, biologia e altre forme di ricerca più soft. «La matematica non è una scienza naturale», asserisce Weinberg, e poi non esita a lasciar cadere la qualifica «naturale». «Di per sé, la matematica non può dirci nulla sul mondo». Certo, «è misterioso perché la matematica risulti utile nelle teorie fisiche» ma, dopo aver menzionato il mistero, Weinberg se ne dimentica. Per quanto riguarda «scienze» come chimica e biologia, sono appropriate le virgolette, perché si tratta di discipline destinate a essere ridotte alla fisica: «Non esistono principi indipendenti di biologia. Ogni principio biologico segue dai principi fondamentali della fisica in congiunzione con accidenti storici, che per definizione non possono essere spiegati». Il riduzionismo, secondo lui, non è un atteggiamento filosofico nei confronti della scienza, al quale se ne potrebbero opporre altri; è la scienza in quanto tale.
La pubblicità caratterizza questo libro come «irriverente», ma forse non è l’aggettivo giusto. Irriverente è un monello che prende in giro l’insegnante, o era Socrate quando metteva alla berlina i potenti. Una persona collocata al vertice di suprema autorevolezza della scienza più autorevole che liquida tutto quel che non rientra nei suoi canoni come non scientifico, mette in deciso contrasto il sapere a lui disponibile con le credenze e ipotesi (sballate) altrui e nega con fermezza che giudizi come il suo possano essere culturalmente motivati forse non è irriverente; forse è arrogante. E viene da domandarsi perché mai una persona così dovrebbe studiare il passato, dopo essersi dichiarato d’accordo con lo scrittore inglese L. P. Hartley che «il passato è una nazione straniera; fanno cose diverse, lì».Chissà: sarà come quelli che viaggiano per constatare quanto siano strani (e inferiori) i «selvaggi», oppure se un migrante commette un crimine reclamano la forca, da cui ritengono esente chi si macchia degli stessi misfatti ma ha solide radici locali. Meglio concentrarsi su ciò che di più utile Weinberg ha da offrire. Una cosa, soprattutto: cento pagine di Technical Notes conclusive in cui, invece di limitarsi a parlare di teorema di Pitagora, solidi platonici, parallasse lunare e conservazione del momento, dà tutte le formule e dimostrazioni relative, con esemplare chiarezza. Senza ricostruire le modalità espressive e argomentative degli autori originali, certo; ma perché dovrebbe, visto che le nostre sono superiori? E qui, nel bene e nel male, il suo approccio e temperamento emergono con la massima evidenza. Se si vuol leggere grande poesia si aprono Omero e Dante, e se si vuol leggere grande storia si aprono Tucidide e Gibbon; se si vuol leggere grande fisica, in generale non si legge Newton – ci sono manuali contemporanei, si pensa infatti, che presentano la meccanica newtoniana molto meglio del suo «scopritore»: nei termini cui siamo abituati. Il libro di Weinberg appartiene al genere letterario di questi ultimi, quindi in definitiva la sua non è storia: sono dispacci che arrivano da un territorio occupato.

Steven Weinberg, To Explain the World: The Discovery of Modern Science , Harper, New York, pagg. xiv+416, $28,99