domenica 20 settembre 2015

Il Sole Domenica 20.9.15
Lo scarica-immigrato
La soluzione suggerita dagli economisti: la compensazione monetaria tra i Paesi che ospitano i profughi e chi non li accoglie
di Giorgio Barba Navaretti


«Allora datemi un po’ di Cristiani, una manciata di Curdi e soprattutto nessun velo» è la didascalia di una vignetta di Plantu su «Le Monde», dove i leader europei scelgono al mercato i rifugiati da portarsi a casa.
Il cinismo di Plantu, non così lontano dalla realtà, data la dichiarazione del governo Slovacco di essere solo disposto ad accettare rifugiati cristiani dalla Siria, sintetizza il balbettio confuso europeo su come dividersi gli oneri (il così detto burden sharing) dei rifugiati. Il che vuol dire come ripartirsi i costi dell’accoglienza e definire i criteri per decidere quanti e quali rifugiati vadano in ciascun Paese. L’incapacità dei ministri degli interni europei di accordarsi su un criterio qualunque al vertice della scorsa settimana è un ennesimo segnale di questa impotenza.
L’impossibilità del burden sharing amplifica l’impatto sull’Europa di ogni grave evento sistemico. Così è stato durante la prima crisi finanziaria dopo il fallimento di Lehman. L’incapacità di condividere i costi di salvataggio delle banche in difficoltà ha determinato un abbraccio drammatico tra bilanci bancari e bilanci pubblici dei singoli Paesi membri, che ha poi portato alla crisi del debito sovrano del 2010. L’incapacità di mettere a punto strumenti di solidarietà fiscale adeguati ha reso il salvataggio di Paesi come la Grecia estremamente oneroso, lungo e foriero di incertezze. Infine i Paesi si sono accordati su un qualche modello di burden sharing: la banking union, lo European Stability Mechanism e (in parte) il Quantitave Easing. Passi avanti del disegno istituzionale europeo, ma sempre con il braccino corto (a parte il quantitative easing), ossia una ripartizione di oneri limitata e basata su criteri molto imperfetti.
Per i rifugiati il problema si ripropone con la stessa devastante forza sistemica della crisi finanziaria. E qui, trattandosi di essere umani disperati, il problema è ancor più serio che per la finanza.
Il punto di partenza di qualunque ragionamento sul burden sharing è considerare che chi chiude agli immigrati (dai muri ungheresi alle resistenze inglesi) scarica costi sugli altri (esternalità negativa). I flussi, per quanto saranno rafforzati controlli e criteri di selezione, sono di fatto non contenibili. L’Europa nel suo complesso non ha una scelta se accettare o meno i rifugiati. E allora è solo una questione di vasi comunicanti. Se si tappa un vaso il livello del liquido cresce per forza in tutti gli altri. Allo stesso modo, chi accoglie più rifugiati degli altri genera un’esternalità positiva: abbassa il livello del liquido in tutti gli altri vasi.
La necessità di risolvere in modo cooperativo il nodo dell’esternalità è in parte entrato nel dibattito europeo con il varo dell’ “Asylum, Migration and Integration Fund” che dovrebbe fornire le risorse finanziarie per sostenere programmi comuni di solidarietà tra i Paesi. Ma una soluzione chiara su come dividere nei fatti oneri e onori non c’é.
Il problema non è da poco. Gli immigrati preferiscono certi Paesi rispetto ad altri. Dunque nell’ambito di Shengen gli immigration darling d’Europa come la Germania, così come i Paesi di prima accoglienza, devono sostenere oneri ben più elevati degli altri. Per questo il piano di Juncker, attualmente in discussione, ripartisce correttamente i richiedenti asilo in ciascun Paese in base alla capacità oggettive di assorbimento, fondata su criteri economici e geografici. Ma ogni Paese ha una disponibilità diversa ad accogliere immigrati, che spesso non coincide con la sua capacità oggettiva di assorbimento. E così Juncker viene contestato.
Come sostiene in diversi saggi l’economista Timothy Hatton, l’unico modo per risolvere la questione è varare un meccanismo di compensazioni monetarie tra Paesi riluttanti e Paesi favorevoli all’asilo. Giusto, ma come si definisce il prezzo di ciascun diritto di asilo concesso o rifiutato? Secondo due altri economisti, Moraga e Rapoport, potrebbe pensarci il mercato. Funzionerebbe come quello per i diritti di inquinamento. Definite le quote oggettive (ad esempio sulla base del piano Juncker), ogni Paese potrebbe vendere e comperare diritti di rifiutare l’asilo in modo da compensare lo scarto tra capacità e volontà di assorbimento. Chi infligge esternalità negative agli altri, rifiutando di accogliere tutti gli immigrati assegnati, può farlo comperando diritti dai Paesi disposti a prendere rifugiati in eccesso. Lo stesso principio del diritto a inquinare: chi infligge costi sugli altri paga. E il prezzo, stabilito dal mercato, rifletterebbe il valore del beneficio per chi rifiuta i rifugiati e il costo per chi se li prende. Juncker non avrebbe più il problema di sanzionare i Paesi devianti.
Proposta interessante, ma non facile da applicare; soprattutto i rifugiati sono cosa ben diversa delle emissioni di CO2. Intanto c’è una questione di percezione etica. A molti lettori farà probabilmente orrore l’idea della compravendita di diritti d’asilo. D’altra parte in qualche modo bisogna quantificarne i costi per poterli ripartire.
La questione di sostanza è che qualunque meccanismo di allocazione diventa coercitivo per gli immigrati, ossia non possono andare più dove vogliono.
Moraga e Rapoport sostengono che sarebbe possibile creare dei meccanismi di matching tra rifugiati e Paesi che preservino la possibilità per i primi di scegliere la loro destinazione e per i secondi le caratteristiche degli immigrati. In effetti, a differenza delle emissioni di CO2, i rifugiati non sono tutti uguali. Non vogliamo certo considerare la diversità etnica e religiosa come nella satira di Plantu. Ma effettivamente c’è una forte eterogeneità nella capacità dei rifugiati ad entrare sul mercato del lavoro europeo. Dunque siriani o eritrei professionalmente qualificati, magari che parlino l’inglese, avrebbero maggiore probabilità di essere scelti di chi abbia un livello di educazione basso. Il che significa anche che costerebbero meno, anzi probabilmente apporterebbero ricchezza al Paese di destinazione. E dunque il prezzo del diritto d’asilo dovrebbe variare a seconda delle caratteristiche dell’immigrato (ed essere tanto più basso quanto più appetibile è il soggetto). Il risultato sarebbe però perverso (non dobbiamo dimenticare che parliamo di persone che non hanno l’alternativa di rimanere a casa). Nel processo di matching i rifugiati qualificati potrebbero scegliere e andare nei Paesi migliori, e quelli meno validi avrebbero poca scelta o finirebbero nei Paesi peggiori.
L’impossibilità ( e la complessità) del matching, rende in qualche modo anche molto difficile arrivare ad una soluzione ottimale di burden sharing. Ma per difficile che sia, la massa umana che attraversa il Mediterraneo potrà solo essere gestita con meccanismi espliciti e chiari di distribuzione dei costi tra Paesi. Saranno inevitabilmente imperfetti ma, come ha insegnato la crisi finanziaria comunque indispensabili.

J.F.Moraga e H. Rapoport Tradable Refugee-Admission Quotas and EU Asylum Policy, CESIFO Working Paper n. 5072, November 2014
T. Hatton, Asylum Policy in the EU: the Case for Deeper Integration, CESifo Economic Studies, 2015