martedì 29 settembre 2015

Il Sole 29.9.15
Pietro Ingrao, comunista eretico e senza scismi
di Guido Compagna


«Coscienza critica della sinistra», «acchiappanuvole», «l’utopista che sognava la luna»: sono solo alcune che delle tante definizioni che hanno accompagnato la vita e la morte di Pietro Ingrao. Il quale però fu prima di tutto «un comunista» e subito dopo «un eretico senza scismi». Ha spiegato magistralmente nel suo sito facebook Emanuele Macaluso: «Ingrao è stato un comunista del partito di Togliatti e della via italiana e democratica al socialismo, nel quale convivevano uomini con posizioni diverse, ma convergenti sugli obiettivi di fondo ed egualmente impegnati con passione e con l’amore per una politica che guardasse essenzialmente agli interessi del mondo del lavoro e del Paese».
Ma Ingrao è stato anche un eretico. Ho aggiunto senza scismi. E in politica gli scismi sono le scissioni. Così non seguì i suoi amici e per certi versi discepoli, che diedero vita al gruppo de “Il manifesto”, subito dopo la radiazione del Pci. Anzi. In Comitato centrale neanche si oppose a quella radiazione. Lo ha ricordato lui stesso in una accorata autocritica nel suo libro “Volevo la luna”. Quasi a dimostrazione che dal partito ci si poteva discostare, ma che comunque non ci potevano e dovevano essere fratture. Qualcosa di simile avvenne con la svolta di Occhetto, anche quest’ultimo un suo, se non discepolo, compagno di idee e di ideali. Così ancora una volta il già anziano leader si discostò. L’eresia l’aveva fatta valere soprattutto in occasione dell’XI Congresso in discussione il principio del centralismo democratico. Andò alla tribuna e disse: «Non sono stato persuaso», ponendo con vigore la questione del diritto al dissenso. Colpì l’assoluto e immobile silenzio dei dirigenti e l’applauso entusiasta dei militanti.
Intendiamoci: la platea non era composta di eretici, ma di iscritti solitamente molto disciplinati e soprattutto ligi nei fatti alle direttive del partito. Probabilmente Ingrao era uno di quegli eretici che piacevano soprattutto agli ortodossi. Lo scontro al Congresso del 1966 fu comunque durissimo, la tensione con Amendola era palpabile, e secondo una ricostruzione dello stesso Pietro, Giorgio non esitò a metterlo in guardia da possibili scontri anche fisici. Ingrao fu comunque un leader molto amato dal popolo del Pci. Gli unici che hanno avuto il suo livello di sua popolarità probabilmente sono stati Togliatti e Berlinguer. Non è un caso che il regista Ettore Scola in un suo film (”Dramma della gelosia...”) abbia voluto inserire alcune scene di un comizio del dirigente ciociaro in piazza San Giovanni. Alla vigilia del Congresso di Firenze del 1986 (segretario Alessandro Natta), rispondendo ad una domanda su come si sarebbe svolto il Congresso, un altro dirigente migliorista Napoleone Colajanni rispose con non celata malizia: «Ci sarà un discorso di Ingrao, molto appalaudito, ma pressochè identico a quello del precedente Congresso e a quello prima ancora». Era un modo per spiegare due cose: la prima che comunque non ci sarebbero state grandi novità, la seconda che Ingrao, nonostante fosse molto amato dalle platee di partito, ancora una volta avrebbe contato poco nel definire la linea politica.
È stato veramente così? Forse nel Pci il grande merito di Ingrao è stato di avere talvolta capito alcune cose prima e soprattutto con maggiore chiarezza e coraggio di altri. Per esempio Ingrao, che pure in occasione dell’Ungheria, da direttore dell’Unità, aveva scritto e titolato: “Da una parte della barricata”, sostenne prima e con più nettezza le ragioni di Dubcek e Svoboda, anche prima dell’arrivo dei carri armati sovietici a Praga del 1968. Fin qui il rapporto di Ingrao con il suo partito. C’è poi l’uomo delle istituzioni. Dal 1976 al 1979 è il primo comunista a essere presidente della Camera con grandi di imparzialità che gli riconoscono anche gli avversari. Ma è anche l’animatore del Centro per la riforma dello Stato. A conferma dell’importanza che la tenuta e la buona salute delle istituzioni democratiche hanno per molti dirigenti dell’allora Pci lo stesso rilievo che il contrasto alle diseguaglianze sociali. Monocameralista fin dalla Commissione Bozzi ha comunque sempre ritenuto irrinunciabile la rappresentatività e la centralità del Parlamento. Ma Ingrao, lo ha ricordato molto bene Alfredo Reichlin nel marzo scorso in un discorso alla Camera in occasione dei suoi 100 anni, non fu soltanto un punto di riferimento per i comunisti. Negli anni ’60 con lui interloquirono nel dibattito sul nuovo modello di sviluppo sindacalisti come Bruno Trentin, e soprattutto politici come Ugo La Malfa e i cosiddetti “professorini” della sinistra dc come Giovanni Galloni e Ciriaco De Mita.