martedì 29 settembre 2015

il manifesto 29.9.15
Ingrao, il commosso saluto è l’ultimo
Cerimonia. La camera ardente a Montecitorio per l’ex presidente, sipario su una storia ormai chiusa. Compagni divisi che si ritrovano, Napolitano non sfugge alla tentazione di arruolare la memoria. La camera ardente a Montecitorio per l’ex presidente, sipario su una storia ormai chiusa. Compagni divisi che si ritrovano, Napolitano non sfugge alla tentazione di arruolare la memoria
di Andrea Fabozzi

ROMA La sinistra italiana che fu comunista e qualche volta lo resta si ritrova ormai soprattutto e qualche volta solo ai funerali. E nulla più dell’ultimo saluto a Pietro Ingrao, grande eretico e un uomo profondamente di partito, intellettuale e dirigente popolarissimo, il tutto per cento anni di lunga vita, può rimettere insieme per qualche ora le tante storie di chi nel Pci c’è stato, o l’ha votato o magari l’ha contestato da sinistra. E se la commozione per la morte di un leader che ha lasciato un buon ricordo anche in tutti i suoi avversari è tanta, lo è anche per la diffusa sensazione che questo saluto sia davvero l’ultimo. La morte del vecchissimo Ingrao cala il sipario su una storia già chiusa.
Al primo piano della camera dei deputati, la camera ardente è allestita nella sala che da qualche anno è intitolata ad Aldo Moro (e nel ’78 toccò ad Ingrao presidente dell’assemblea di Montecitorio avvertire l’aula del rapimento del segretario Dc, con un discorso che fu criticato perché troppo breve e senza dibattito, ma in quell’ora tragica il comunista avvertiva l’urgenza di far nascere un governo, quello Andreotti, che pure non gli piaceva). Il primo picchetto attorno alla bara scoperta è quello della Fiom, con Maurizio Landini. La grande famiglia Ingrao è sistemata in una fila di sedie sul lato sinistro, la sorella Giulia, le figlie Celeste, Bruna, Chiara e Renata, il figlio Guido, tanti nipoti. Alle pareti le corone di fiori della alte cariche istituzionali e una sola di partito, il Pd. Un ritratto di Ingrao staccato dalla «Corea» — la Galleria dei presidenti — è sistemato al centro tra una bandiera del Pci e una della pace. Mentre si alternano i picchetti — Bertinotti, Vendola e il gruppo dirigente di Sel, Fassina, il presidente della Regione Lazio Zingaretti e il vice sindaco di Roma Causi — arriva subito Giorgio Napolitano. Saluta i parenti con un bacio, resta un po’ in appoggio sul bastone di fronte al feretro, poi si avvicina e dà un colpetto a mano aperta sul legno, forse una carezza. Alla Stampa ha detto che «Ingrao è stato un uomo di assoluta limpidezza morale, non ha mai combattuto battaglie per interessi o ambizione personale»; i due sono stati molto avversari nel Pci, divisi da tutto ancora prima del celebre dissenso di Ingrao nel congresso del ’66 e fino allo scioglimento del ’90. «Ingrao era per il monocameralismo», trova il modo di ricordare il presidente emerito della Repubblica che oggi è il primo sponsor della riforma costituzionale di Renzi. Ed è vero, salvo che nella sua costante riflessione sui «problemi dello Stato», Ingrao partiva dall’esigenza di rafforzare parlamento e rappresentanza (raccolto da poco in volume il suo carteggio con Norberto Bobbio): il monocameralismo con l’Italicum è tutta un’altra storia.
La tentazione di accordare il pensiero di un grande leader con il proprio è comprensibile — si faceva anche nel Pci con le posizioni di Togliatti, «lo chiamavamo “tirare la coperta”, ha ricordato Ingrao nel suo Le cose impossibili -, alla camera ardente arriva Achille Occhetto preceduto da un fondo sull’Unità renziana in cui sostanzialmente racconta che Ingrao avrebbe aderito alla svolta della Bolognina se solo gliel’avesse spiegata lui. Renzi è a New York per l’assemblea Onu, il governo è presente con la ministra delle riforme Boschi, il viceministro Morando e il sottosegretario De Vincenti, che fa anche un turno di picchetto. Assenti in massa alla celebrazione ufficiale della camera del centesimo compleanno di Ingrao, i renziani stavolta fanno capolino: il capogruppo del Pd alla camera Rosato, il capogruppo al senato Zanda, il deputato Carbone, la presidente della prima commissione del senato Finocchiaro. Pochi gli esponenti dei partiti di centro e destra che vengono a rendere omaggio, il vice presidente forzista della camera Baldelli, l’ex Dc D’Onofrio, Rutelli, Mariotto Segni, Nando Adornato che ha trascorsi comunisti. In serata fa il suo ingresso il presidente del senato Piero Grasso. Ma è soprattutto un incontrarsi a sinistra, tra i tanti che sono stati ingraiani almeno un po’, o «minoranza di sinistra» come preferiva Ingrao. Come Occhetto, del resto, che va incontro e si fa riconoscere dall’ottantenne Luigi Schettini, che è stato una colonna dell’ingraismo meridionale. Un po’ alla volta arrivano Gavino Angius, Luigi Berlinguer, Gianni Cuperlo, Walter Tocci, Cesare Damiano, Vincenzo Vita, Cesare Salvi, Giorgio Ruffolo, Ugo Sposetti, Walter Veltroni. Invece entra unita la delegazione dell’Ars: Aldo Tortorella, Alfiero Grandi e Piero De Siena.
La cerimonia nel palazzo si presta poco alla partecipazione popolare, ma sono comunque centinaia i cittadini romani che sfilano davanti al cadavere di Ingrao. A tratti davanti all’ingresso principale della camera si forma una piccola fila. Molti portano un fiore, qualcuno alza veloce un pugno chiuso. Domani i funerali saranno in piazza Montecitorio, all’aperto. Come quelli di Pajetta, 25 anni fa.