il manifesto 17.9.15
Il retroscena
Perché la Ue non ha voluto decidere
Il Consiglio Affari interni avrebbe potuto adottare a maggioranza qualificata le proposte di Juncker
di Giuseppe Chiellino
Per capire l’immobilismo e l’incapacità di decidere dell’Unione europea (e degli Stati membri) sull’emergenza migranti occorre entrare nelle bizantine architetture che governano le istituzioni comunitarie. Lunedì scorso il Consiglio Affari interni avrebbe potuto agevolmente adottare le proposte della Commissione, presentate dal Jean -Claude Juncker pochi giorni prima in Parlamento. Come ha scritto anche questo giornale, i cinque paesi contrari (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania, tutti entrati con il big bang del 2004) non disponevano dei voti sufficienti per fare “minoranza di blocco”.
In base alle regole di voto del Consiglio, dunque, la decisione sarebbe passata con la maggioranza qualificata richiesta. È successo però che il Consiglio, anziché adottare la decisione, ha approvato “conclusioni” della presidenza che, in base ai trattati, non hanno alcun valore legale e dunque non obbligano nessuno. L’artefice principale di questo esito è stato il presidente, Donald Tusk, ex premier della Polonia,dove si vota a ottobre e uno dei cinque Paesi contrari. Questa decisione ha sterilizzato, in pratica, la regola del voto a maggioranza, conquista importante degli ultimi anni. Non è la prima volta che accade. Ma Tusk non ha fatto tutto da solo. Questa volta ha agito con alcune “complicità”. La prima è stata quella del servizio giuridico del Consiglio, guidato dal direttore generale Hubert Legal (francese ma sponsorizzato anche dalla Germania) il quale, come spiegano fonti autorevoli, «ha inventato una regola inesistente: le “conclusioni” del Consiglio sono diverse dalle sue “decisioni” e dunque passano all’unanimità invece che a maggioranza qualificata». In realtà, il trattato Ue dice semplicemente che “il consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo i casi in cui è trattati dispongano diversamente”. Ma non era questo il caso.
L’altra “complicità” di cui Tusk ha potuto beneficiare lunedì scorso è stata quella di Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione che, anziché svolgere il ruolo di “guardiano dei trattati”, vigilando sulla loro applicazione (articolo 17), ha assistito passivamente a quanto stava accadendo nella riunione, senza chiedere il voto come avrebbe potuto fare. In buona sostanza, non ha fatto nulla per tutelare “l’interesse generale dell’Unione”, lasciando spazio alla deriva intergovernativa che sta soffocando l’idea comunitaria.
E non si tratta solo di un danno d’immagine per «l’Europa» che sempre più viene percepita dai cittadini come un pachiderma imbolsito dalla burocrazia e incapace di decidere. C’è, evidentemente, anche un danno concreto e molto più grave: non decidere significa aggravare l’emergenza dei profughi alle frontiere.
Se, come sembra, il dossier passerà dai ministri degli Interni al vertice dei premier, l’impasse sarà completa: il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di governo, decide “per consenso”, dunque all’unanimità, e chiunque potrà bloccare le proposte di Juncker. Salvo aprire il solito suq che accontenta tutti ma lascia i problemi irrisolti.