il manifesto 16.9.15
Nuove generazioni e antiche bandiere, l’antidoto contro la rassegnazione
Passione, ambizione, massa critica. Abbiamo urgenza di una svolta che rimescoli tutto e tutti. Ritrovando le ragioni della nostra parte, così semplici ed evidenti eppure così dimenticate. Per metterci in cammino abbiamo bisogno di nuove gambe
di Simone Oggionni
Esiste da diversi anni una regola di proporzionalità inversa abbastanza mortificante: meno siamo efficaci e più dibattiamo. E poi un paradosso: più auspichiamo una sinistra utile, forte, unita e più questa rimane inutile, debolissima, frammentata.
Norma Rangeri e il manifesto provano opportunamente a suonare la sveglia e a ricordarci che così non è più possibile andare avanti.
Abbiamo bisogno di una svolta, di un vero shock che rimescoli tutto e tutti, che costringa a ripartire dai fondamentali. Da fondamentali così semplici da sembrare scontati, ma che negli ultimi venti anni si è riusciti, puntualmente, a negare e contraddire.
Il primo è ricordarsi che la sinistra è innanzitutto un sentimento di connessione tra la politica e la vita reale, le sue passioni, le sue imperfezioni, le sue sofferenze. È la connessione con le decine di migranti che ogni settimana sbarcano sulle nostre coste in preda alla fame e alla disperazione più nera e che, spesso, piangono i propri morti nelle traversate. È la connessione con le tragedie normali cui dà forma il rapporto Svimez sul Mezzogiorno: un quadro umiliante di un Sud senza più fabbriche, senza più lavoro, segnato dall’emigrazione e dalla natalità a tasso zero. È la connessione con l’indignazione di chi non accetta l’assoluzione degli stupratori della Fortezza da Basso, sancita da un Tribunale che pretende di giudicare la sessualità di una donna, la sua vita, i suoi desideri.
Il secondo fondamentale è darsi l’ambizione di esprimere un progetto, ben oltre una definizione in negativo rispetto alle politiche del governo. Si illude chi pensa che il problema sia Renzi e dunque che il nostro compito sia unire coloro che vi si contrappongono. Renzi è soltanto l’epilogo di una storia ventennale nel corso della quale la sinistra italiana, come e più di quella europea, ha ceduto sul terreno culturale, passo dopo passo, all’egemonia dell’avversario. Per questo motivo è essenziale ricostruire, per i prossimi vent’anni, una cultura politica in grado di confrontarsi con questa sfida e di esprimere un punto di vista autonomo sul mondo, sull’economia, sulla società; una forza capace di indicare un immaginario e di tradurlo in concetti e programmi di governo concreti, né anacronistici né indicibili.
Il terzo fondamentale ha a che fare – come ha ricordato su il manifesto Felice Roberto Pizzuti – con il perimetro europeo della nostra sfida, che è strettamente connesso al tema dei rapporti di forza e della massa critica. Da qui non si sfugge: non è possibile indicare scorciatoie nazionali per redivive piccole patrie né è credibile proporre la fuga dal terreno della politica, del conflitto e del governo come strumenti della trasformazione. La vicenda greca conferma e non smentisce la nostra tesi, perché un grande progetto riformatore dell’Europa e della sua architettura istituzionale ha bisogno di rapporti di forza che oggi non ci sono e che Tsipras, da solo, non può creare. Occorre allora tematizzare più e meglio il contenuto della via maestra, per ricostruire una Europa nuova, con il baricentro più basso, nel Mediterraneo, e lo sguardo verso i protagonisti del nuovo multipolarismo mondiale. Una nuova Europa in cui i trattati siano sottoposti al voto popolare, in cui il Parlamento abbia finalmente piene funzioni legislative e in cui la Banca Centrale – come avviene negli Stati uniti e in Giappone – sia messa nelle condizioni, strutturalmente, di disinnescare le speculazioni e di sostenere la crescita dei Paesi membri.
A quest’altezza però interviene una domanda che non possiamo più eludere: davvero pensiamo che ricostruire una forza politica che abbia il cuore e le gambe nella società, nelle pieghe del lavoro e nel non lavoro; che si occupi di riprendere, con le parole dell’oggi, il filo di un pensiero forte e di un discorso contro-egemonico valido per i prossimi decenni; e che si ingegni per immaginare e progettare un’Europa diversa, insieme a Tsipras e alle tante e giovani sinistre europee del Continente, sia compito dei gruppi dirigenti e delle formazioni politiche del secolo scorso? E, in particolare, di quella forma mentale reducista, minoritaria e autoreferenziale che ci ha insegnato ad allontanare la sinistra dalla sua gente, a pensare al piccolo cabotaggio, a smettere di studiare, a perdere?
La mia impressione è che debba essere compito di altre intelligenze, altri protagonismi, altre generazioni. Stando bene attenti a non compiere due errori: non inseguire giovanilismi senza contenuti (purché si cambi va tutto bene, anche peggiorare) e non dipingere – in una critica o autocritica spregiudicata – la classica notte in cui tutte le vacche sono nere. No, per fortuna non è così: esiste anche chi in questi anni ha tenuto aperta la partita del cambiamento e dell’innovazione, con curiosità e intelligenza, e chi, rompendo la gabbia del Pd, apre oggi una possibilità e una prospettiva.
Dall’incontro tra queste energie e il mondo che c’è fuori – e non dalla sommatoria indistinta di tutti i pezzi dispersi – potrà nascere nei prossimi mesi il nuovo partito. Se nascerà con queste premesse avrà già sconfitto il primo nemico: la rassegnazione che nasce dalla coazione a ripetere gli stessi errori. E allora potremmo davvero metterci in cammino.
*Coordinamento nazionale Sinistra Ecologia Libertà – Esseblog.it