domenica 6 settembre 2015

Corriere La Lettura 6.9.15
Post-Capitalismo
Addio alla grande finanza, dice Paul Mason: il sistema attuale finirà come il feudalesimo Avremo un’utopia egualitaria. Oppure il caos
di Ennio Caretto


Un libro che s’intitola PostCapitalism. A Guide to Our Future («Post capitalismo. Una guida al nostro futuro») non può non incuriosire e non suscitare polemiche, soprattutto in periodi di crisi come il nostro. E infatti, a un solo mese dalla sua pubblicazione presso l’editrice Allen Lane, a Londra questo saggio sta causando più clamore di quanto ne causò l’anno passato Il capitale nel XXI secolo del francese Thomas Piketty (Bompiani). Probabilmente era ciò che desiderava il suo autore, Paul Mason, un noto giornalista, già alla Bbc, direttore dei programmi economici del Canale 4 della tv britannica e autore di altri libri di successo, tra cui Meltdown. The End of the Age of Greed del 2009 sul crollo delle Borse dell’anno prima, pubblicato in Italia da Bruno Mondadori con il titolo La fine dell’età dell’ingordigia .
Paul Mason non è un economista, ha studiato musica all’università. È un autodidatta di simpatie laburiste, formatosi sui testi di Marx e Keynes e sui teatri delle crisi finanziarie, da Wall Street nel 2008 ad Atene nei mesi scorsi: impegnato socialmente, è quello che gli americani chiamano un liberal . E l’intento del suo libro non è quello di Piketty, uno stimato accademico che ha voluto scrivere una «summa» del capitalismo. L’intento di Mason è stimolare e provocare, un obiettivo realizzato: in Inghilterra e in America PostCapitalism , che sarà pubblicato in Italia dal Saggiatore il prossimo anno, è una lettura controversa, ma obbligata per la élite politica, economica e mediatica.
La tesi di Mason è che l’attuale capitalismo finanziario, successore del capitalismo industriale, erede a sua volta di quello mercantile, ha i giorni contati. «Come accadde alla fine del feudalesimo 500 anni fa», scrive, «la transizione al postcapitalismo sarà accelerata da choc esterni e plasmata dall’emergere di un nuovo tipo di esseri umani. Essa è già iniziata». Che cosa promuoverà la transizione? I cambiamenti prodotti dalla rivoluzione informatica negli ultimi 25 anni e negli altri a venire, risponde il giornalista, una rivoluzione che sta modificando i concetti di produzione e di valore. E adduce tre ragioni.
Secondo Mason, in primo luogo le tecnologie dell’informazione hanno ridotto e ridurranno ulteriormente la necessità per l’uomo di lavorare e reso più elastico il rapporto tra lavoro, tempo libero e guadagno. Esse hanno inoltre corroso e corroderanno ulteriormente la capacità del mercato di stabilire i prezzi e il diritto alla proprietà privata. Hanno dato infine luogo, e lo daranno ulteriormente, a una «nuova economia» più giusta dell’attuale, di tipo associativo, con monete parallele, cooperative, con beni e servizi alternativi. Qui Paul Mason adduce l’esempio di Wikipedia, l’enciclopedia elettronica, «prodotta gratuitamente da volontari, che sottrae all’industria pubblicitaria 3 miliardi di fatturato annui».
Le information technologies , sostiene Mason, avranno un effetto analogo a quello delle fabbriche nel XIX secolo. «John Thelwall ammonì gli industriali che con i loro impianti creavano una pericolosa forma di democrazia: ogni fabbrica è una società politica, nessun Parlamento può zittirla, nessun magistrato può scioglierla». Internet è la fabbrica di oggi, una fabbrica immensa, prosegue l’autore, e il popolo del web è il suo proletariato, una metafora molto suggestiva. «Noi tutti partecipiamo alla creazione dei marchi, delle norme e delle istituzioni che ci circondano… E internet trabocca di conoscenza e di scontento».
L’1 per cento più ricco e più potente dell’umanità, afferma Mason, è consapevole che l ’infocapitalismo , ossia il monopolio dell’informazione, di cui sono maestre aziende come Google e Apple, è il suo ultimo strumento di difesa: «I colossi tecnologici sono monopoli su scala non più vista da due secoli». Ma il bisogno fondamentale dell’umanità, aggiunge il giornalista, è «usare liberamente le idee» e il restante 99 per cento, il pubblico del web, il popolo più informato e interconnesso della storia, li abbatterà come i tedeschi orientali abbatterono il Muro di Berlino.
Ci vorrà tempo ovviamente, osserva Mason, e ci vorranno importanti riforme politiche e sociali affinché l’attuale dittatura del mercato teorizzata dal neoliberismo e non contrastata, o meglio appoggiata dallo Stato, venga deposta. Il conflitto tra capitalismo finanziario o infocapitalismo da un lato e il postcapitalismo dall’altro potrebbe durare per decenni, ma lo sbocco più probabile sarà una società con un’economia sempre più sostenibile, con un ambiente e un clima in via di risanamento, senza più disuguaglianze e senza più il problema delle grandi immigrazioni, o quasi. Se così non fosse, ammonisce Mason, il mondo cadrebbe nel caos: «Nazionalismo, jihadismo, narcotraffico, censura, tortura contraddistinguerebbero lo Stato come accadde in Europa negli anni Trenta».
PostCapitalism è innegabilmente un viaggio di speranza nel futuro, un messaggio raro di questi tempi, ma è difficile condividerne premesse e conclusioni. Sinora il capitalismo ha saputo adattarsi a tutte le rivoluzioni tecniche e scientifiche e a riformarsi di fronte alle proteste popolari, la sua attuale involuzione non può durare a lungo. Di più. Mason ci invita a «immaginare un mondo senza mercato e senza proprietà privata», ma la sua immaginazione va troppo oltre: nel suo postcapitalismo non solo si vive del reddito di cittadinanza, una meta oggi perseguita dalle democrazie più avanzate, ma i banchieri centrali vengono eletti democraticamente e il potere è nelle mani della società civile, non dello Stato.
Più che una guida a un’età in cui il capitale non sarebbe più dominante, il libro è una sorta di manifesto per la sinistra europea, che non ha saputo opporsi costruttivamente al neoliberismo, un invito a tracciare un percorso sociale ed economico diverso, in cui le scosse distruttive siano minori e meno frequenti. I capitoli più incisivi sono quelli di denuncia della sfrenata globalizzazione finanziaria, che ha contribuito a esautorare sindacati e governi, a impoverire il ceto medio, ad aggravare i debiti sovrani e creare le premesse di un ristagno economico di 30-40 anni, come ammoniscono illustri economisti tra cui l’ex ministro del Tesoro americano Larry Summers.
Sull’«Independent», un giornale critico verso il capitalismo, Hamish McCrae ha definito PostCapitalism un’utopia, e lo ha paragonato a Looking Backward 2000-1887 («Guardare indietro. 2000-1887»), un romanzo avveniristico pubblicato nel 1888 da Edward Bellamy negli Stati Uniti, che diede temporaneamente vita a una serie di comunità utopiche. L’opera di Mason ha tuttavia il merito di farci riflettere sui disastrosi effetti di un’austerità spietata, e non solo in Europa, come l’opera di Piketty ci ha fatto riflettere sugli eccessi del capitalismo e come l’opera del Nobel dell’economia Joseph Stiglitz nel 2012, Il prezzo della disuguaglianza (Einaudi), ci ha fatto riflettere sulle tragedie umanitarie.