martedì 8 settembre 2015

Corriere 8.9.15
E adesso la Cina toglie la tassa sui capital gain
di Francesco Daveri


C i voleva una discesa della Borsa di Shanghai del 40 per cento rispetto ai massimi di giugno per far recuperare alla Cina la strada della crescita. In ogni caso, dopo mesi di incertezze e caos, Pechino sembra finalmente avere azzeccato la mossa giusta. Il ministero delle finanze, l’agenzia delle entrate e l’autorità che controlla i mercati finanziari cinesi hanno infatti annunciato in un comunicato congiunto che a partire da oggi i dividendi saranno tassati in funzione dell’orizzonte di investimento degli investitori. Chi terrà in portafoglio le azioni per più di un anno sarà esentato dalla tassa sui dividendi associati al possesso di un’azione. Chi terrà le azioni per un periodo intermedio pagherà un’aliquota intermedia del 10 per cento, dimezzata rispetto all’aliquota normale. Mentre gli investitori più avidi (quelli che tengono le azioni per meno di un mese) dovranno versare al governo l’intera tassa, pari al 20 per cento del loro reddito da capitale azionario. Certo, la riduzione e rimodulazione di aliquote sui dividendi è una piccola misura. Ma segnala un’importante inversione di tendenza. Il governo cinese sembra cioè aver finalmente capito che neanche un paese a capitalismo di Stato può dettare dall’alto l’andamento della Borsa. Perché i mercati svolgano il loro compito di finanziare l’investimento a lungo termine — l’ingrediente necessario per la crescita — servono misure dal basso, opportuni incentivi e disincentivi, non divieti che durano un giorno ma sono poi inevitabilmente disattesi. A questo serve la detassazione modulata dei dividendi. Chissà, con il pragmatismo che certo non difetta alle autorità di Pechino potranno poi finire in soffitta gli inefficaci divieti di vendere grandi pacchetti azionari e le operazioni di polizia contro gli speculatori. Se la nuova misura funzionerà, non sarà solo una buona notizia per la Cina ma anche per il resto del mondo. Forse non è troppo tardi per evitare che l’eccesso di risparmio destinato negli ultimi anni a impieghi poco produttivi si trasformi nella stagnazione secolare paventata da molti.