lunedì 7 settembre 2015

Corriere 7.9.15
Michael Wolffsohn
storico tedesco, Università di Monaco di Baviera
«È una rivoluzione radicale: solo un pensiero creativo gestirà società multiformi»
intervista di Danilo Taino


BERLINO Con la marea di profughi oggi in movimento, è iniziata una rivoluzione che trasformerà alla radice non solo la Germania ma l’intera Europa. «Da Paesi relativamente omogenei a entità multinazionali», dice Michael Wolffsohn. Ci aspettano un impegno e un cambiamento portentosi. Subito, gestire gli arrivi e dare asilo; nel medio e lungo periodo, per integrare i rifugiati: a ciò non c’è alternativa. Ma occorre anche sviluppare un «pensiero creativo» che oggi non c’è per Paesi disomogenei che saranno sempre fonte di profughi, senza un ordine nuovo: Siria, Afghanistan, Libia e in futuro altri. Wolffsohn, 68 anni, storico molto ascoltato in Germania, ha insegnato fino a tre anni fa alla Universität der Bundeswehr a Monaco.
Professore, sorprendente questa Germania che abbraccia i rifugiati.
«Sorprendente per chi non la conosce. Per chi la immagina ancora un Paese militarista e xenofobo. Ma è cambiata totalmente. Però starei attento. I sondaggi d’opinione dicono che buona parte dei tedeschi è scettica su questi arrivi. Non per xenofobia ma per il timore degli enormi cambiamenti che produrranno. È in corso una rivoluzione, non solo in Germania».
Da quando la Germania è cambiata?
«Il punto di svolta, dimostrato scientificamente, è tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, tra le sconfitte a El Alamein, a Stalingrado e in Marocco. Da quel momento c’è un declino dell’ideologia nazista tra i tedeschi, che accelera dopo il 1945 e arriva a stabilizzarsi nella prima metà degli Anni Sessanta. Oggi è un Paese che ha interiorizzato stabilmente la democrazia».
Lei parla di rivoluzione. È pronta la Germania?
«Non è un problema solo tedesco, è europeo. Economicamente, sì: l’Europa è in grado di affrontare gli arrivi. Nel lungo periodo i problemi sono seri. Si tratta di realizzare una transizione pacifica verso società eterogenee e multinazionali».
Come vede questa transizione?
«L’Islam diventerà moderno. Anche le rifugiate che arrivano in Europa con il foulard ormai si sono rese conto di cosa sia l’Islam radicale dal quale fuggono. Vengono in Europa perché quell’Islam è insopportabile e inumano. In più, si rendono conto che i Paesi arabi, i sauditi, i kuwaitiani, anche se ricchi non danno loro rifugio. Nel lungo periodo i profughi costruiranno un Islam umano, in Europa. Questo è il lato positivo».
Quello negativo?
«L’Europa diventerà in molti casi teatro di guerra tra questi due Islam, tra chi lo vuole umano e i radicali, già presenti sul nostro territorio, che non lo vogliono permettere».
Quindi l’integrazione è in qualche modo possibile.
«Per ora che il collasso riguarda la Siria, l’Afghanistan. Ma questo è solo l’inizio: sarà impossibile integrare, economicamente e mentalmente, i profughi quando crolleranno l’Egitto, la Libia, la Tunisia. Serve subito da parte dell’Europa e dell’Occidente un’intelligenza, un pensiero creativo per la pace: oggi non c’è. Ora è il momento di pensare al futuro, per rifare i Paesi che stanno crollando o stanno per crollare».
Ridisegnare la mappa del Medio Oriente? Come?
«Questi Paesi disegnati alla fine della Prima e Seconda guerra mondiale hanno minoranze che sono represse e oggi sono costrette a fuggire. Si tratta di costruzioni che non possono più funzionare. Dobbiamo aiutarli e spingerli verso un nuovo ordine. Ciò può avvenire solo dal loro interno, devono realizzarlo da soli creando entità federali, con diritti delle minoranze, sulla base del principio di autodeterminazione. Non c’è alternativa. Ma dobbiamo avere un pensiero, una strategia per spingerli. Abbiamo parlato per anni del conflitto tra Israele e palestinesi ma oggi ci accorgiamo che non c’entra nulla con le masse in movimento in cerca di rifugio».