Corriere 6.9.15
Merkel: «Nessun limite alle richieste d’asilo»
di Luigi Offeddu
«L’accordo di Dublino sui migranti deve continuare a valere», assicura Georg Streiter, portavoce della cancelliera tedesca Angela Merkel. È suo dovere farlo. Ma la sua stessa «principale», appunto la cancelliera, ha appena sepolto quel patto. Nei fatti, se non nei documenti ufficiali: «Il diritto all’asilo politico non ha un limite per quanto riguarda il numero di richiedenti in Germania — ha detto in un’intervista la signora di Berlino — In quanto Paese forte, economicamente sano, abbiamo la forza di fare quanto è necessario».
Altri stanno intorno alla tomba dell’accordo, pur negandone doverosamente l’esistenza. Da François Hollande, presidente francese, a Juha Sipila, primo ministro finlandese e capo di un governo di centrodestra: «Dal primo gennaio — annuncia — la casa di villeggiatura mia e della mia famiglia sarà aperta ai rifugiati».
Parole forse simboliche, ma forti.
Le frontiere austriache e tedesche sono aperte, solo ieri hanno accolto oltre settemila profughi, ricevuti alla stazione di Monaco da applausi e doni. Altri arrivano in massa. Il governo della Baviera assediata, è vero, protesta contro la scelta di Berlino.
Ma il piano franco-tedesco sull’assegnazione a ogni Paese di quote-migranti molto più alte è sostenuto da tutta l’Europa Occidentale: i suoi ministri degli Esteri, reduci dai due giorni dell’ennesimo incontro vano e quasi imbarazzante al Lussemburgo, ormai sono superati dalla realtà; cioè la politica si accoda alla vita, comprendendo di non poterla pilotare.
L’Est di Praga, Varsavia, Budapest e Bratislava, almeno a parole, resiste, guidato dall’ungherese Victor Orbán che ammonisce contro il caos: ma è stato lui — anche se la stessa Berlino la definisce ora «una circostanza eccezionale» — a «liberare» gli autobus verso l’Austria, e sono cechi e slovacchi a lasciar passare altri treni dall’Oriente. Quando due o tre continenti — Europa, Africa, Asia — si muovono nello stesso momento, accade così. Soprattutto quando uno di essi, l’Europa, è popolato anche da figli e nipoti di gente immigrata altrove.
Ora, la Germania chiede a gran voce un vertice straordinario dei leader Ue, per battezzare politicamente gli eventi già compiuti. E le cose avvengono molto in fretta: a mezzanotte di ieri, l’Austria — fino ad allora cerbero alle frontiere del Brennero — ha ceduto, spalancando di colpo le sue porte. Tutto questo rivela la verità ovvia e non più (quasi) nascosta: l’accordo di Dublino partiva e parte da un nocciolo irrazionale, decreta che la sorta di ogni migrante debba essere decisa dal primo Paese in cui mette piede. È questo, il nocciolo di cui si fa forte l’ungherese Orbán. Ma su 28 nazioni della Ue, al massimo 8 sono quelle di prima linea, sul mare e in terra: e «non può essere» come ripetono Angela Merkel e con lei François Hollande o Matteo Renzi, «che alla fine quattro o cinque Paesi debbano sopportare il peso». Conclusione: «l’intero sistema deve essere riprogettato», ci vuole «una ridistribuzione più equa». Con le nuove quote, appunto: c’è chi punta i piedi ma i fatti, con l’aiuto di una statista molto potente, hanno ormai dato la spinta. Anche se Berlino avverte: chi non potrà dimostrare di aver diritto all’asilo verrà rispedito a casa. «Non aumenteremo le tasse» promette la cancelliera ai suoi elettori. E agli altri di tutta la Ue, ricorda la necessità di salvaguardare la disciplina di bilancio, cioè tenere in ordine le casse, nonostante le nuove spese provocate dalla grande migrazione. Ma questa è tutta un’altra scommessa, per ora decide la storia con le sue maree.