Corriere 4.9.15
La resistenza di Abu Mazen a una svolta necessaria
di Antonio Ferrari
Dopo l’annuncio del mese scorso, il silenzio più assordante. Non si capisce infatti se il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) diverrà o meno un capo dimezzato: numero uno dell’Autorità nazionale, ma definitivamente pensionato da leader dell’Olp.
Il presidente ha espresso la sua volontà di rinunciare alla guida della storica Organizzazione per la liberazione della Palestina, e ha anche promesso di motivare pubblicamente la sua scelta. Tuttavia, dopo qualche clamore mediatico, tutto si è fermato, forse perché neppure Abbas ha ben chiaro quale debba essere il passo successivo.
Il carisma e la credibilità di Abu Mazen non sono in discussione: gli vengono riconosciuti da tutti i leader del mondo, e anche da Israele che lo ritiene l’unico possibile partner negoziale. Il problema, semmai, dipende da tre motivi: l’incapacità caratteriale del presidente dell’Anp di affrontare di petto le questioni più spinose. Ogni tentativo di collaborare con i fondamentalisti di Hamas, che governano la striscia di Gaza, è fallito; c’è poi l’ostacolo anagrafico, perché Abbas ha compiuto 80 anni e certo non scoppia di salute; infine, vi sono gli scandali che coinvolgono la dirigenza palestinese e che hanno lambito anche il leader, a causa del figlio.
Parte dei generosi aiuti internazionali per migliorare le condizioni di vita dei palestinesi avrebbero favorito soltanto nomi noti del cerchio magico dirigenziale. Abitudini quasi immutabili, come avvenne anche ai tempi di Arafat, quando ci fu persino lo scandalo delle tangenti sul cemento per consentire a Israele di costruire il muro di separazione in Cisgiordania.
Storie note, ma in fondo dettagli rispetto all’urgenza di una vigorosa iniziativa per rilanciare il processo di pace. Se il salto di qualità deve partire dall’Olp è bene fare in fretta.