sabato 12 settembre 2015

Corriere 12.9.15
L’Europa dell’Est dice ancora no
Spaccatura sulle quote di profughi
di Danilo Taino


BERLINO I profughi in cerca di asilo potrebbero essere «per la Ue la maggiore sfida della sua storia», ha ribadito ieri il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Non gli sono però bastate questa e altre affermazioni forti per fare accettare l’emergenza ai quattro Paesi del Gruppo di Visegrád: Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia gli hanno risposto, durante un incontro a Praga, che non sono intenzionate ad accettare le quote obbligatorie, per Paese, sulla base delle quali il piano avanzato dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, intende distribuire i 160 mila rifugiati già sul suolo europeo.
L’incontro tra i ministri degli Esteri del Gruppo di Visegrád con quelli di Germania e Lussemburgo era un tentativo di gettare le basi di una soluzione europea concordata prima dell’incontro di lunedì tra i ministri degli Interni e della Giustizia della Ue. L’obiettivo è che da quella riunione esca una risposta comune dei 28 Paesi: la posizione rigida espressa ieri e la possibilità che da una distribuzione concordata si chiamino fuori Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda (questi Paesi godono di una clausola nei trattati che lo permette) e altri Paesi dell’Est Europa rende complicata la ricerca di un accordo. Per questo, ieri il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto che, se lunedì non sarà trovato un accordo, convocherà una riunione dei capi di Stato e di governo della Ue per trovare una soluzione al massimo livello.
Il ministro ceco Lubomir Zaorálek ha sostenuto che i Paesi centroeuropei hanno bisogno «di avere il controllo di quanti (rifugiati, ndr) siamo in grado di accettare». I quattro di Visegrád non hanno posizioni identiche: sono però uniti, almeno per ora, nel ritenere che il sistema di quote li penalizzi, cioè mandi loro più profughi di quanti chiedono di andare nei loro Paesi. In più sono irritati dall’apertura tedesca di queste settimane che ha gonfiato il numero di arrivi. E ritengono, sulla base di quello che la stessa Germania prevede, che, dopo i 160 mila rifugiati da accasare ora, altre centinaia di migliaia ne arriveranno.
«Abbiamo una visione diversa» del problema, ha detto il ministro slovacco Miroslav Lajcak. «Il compito primo e più importante è acquisire il controllo del confine esterno dell’Unione europea», ha sostenuto il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjárto, che si è anche detto disposto a ospitare a Budapest una conferenza a cui partecipino anche Paesi dei Balcani occidentali. A differenza dei tedeschi, non credono cioè che il flusso di profughi sia incontenibile e quindi da gestire; ritengono che a esso ci si possa in qualche modo opporre.
Steinmeier ha anche detto che la Germania si aspetta l’arrivo di 40 mila rifugiati durante questo weekend, dopo i 15 mila di quello scorso: Berlino ha così messo in stato di allerta quattromila soldati con lo scopo di aiutare le operazioni logistiche. Ma la situazione può diventare insostenibile se non ci sarò uno sforzo comune europeo, ha affermato il ministro.
Sempre ieri, i media internazionali hanno diffuso immagini delle condizioni durissime, non a lungo sostenibili, in cui sono migliaia di profughi, in particolare in campi al confine tra Ungheria e Serbia. Inoltre, l’International Organization for Migration ha diffuso le stime di quel che è successo nel Mediterraneo tra l’inizio dell’anno e il 10 settembre. Dice che sulle coste europee sono arrivate 432.761 persone: 309.356 in Grecia, 121.139 in Italia, 2.166 in Spagna, cento a Malta. Ma nel viaggio 2.748 sono morte: 2.620 mentre cercavano di arrivare in Italia, 103 in Grecia, 25 in Spagna. Il 72,8% delle morti di profughi in fuga nel mondo è avvenuta nel Mediterraneo.