venerdì 11 settembre 2015

Corriere 11.9.15
La svolta di Angela Merkel
L’intuizione che arriva solo dai veri leader
di Paolo Franchi


Epocale. L’uso e, soprattutto, lo sfrenato abuso di questo aggettivo-passepartout sono finalmente sotto il tiro della critica. È difficile contestare, però, che la storica svolta di Angela Merkel sia il frutto dell’intuizione lucida non tanto dell’emergenza, quanto piuttosto dell’inevitabile e non indolore passaggio d’epoca che l’ondata dei rifugiati e dei migranti segnala per la Germania e per l’Europa. La condividano o meno, i sostenitori della politica ridotta a ordinaria amministrazione che ci hanno asfissiato nell’ultimo ventennio dovrebbero prenderne atto. Di simili intuizioni, con tutto l’inaudito carico di responsabilità e di rischi che comporta il tentativo di tradurle in azione di governo, sono capaci soltanto leader politici veri: non i tecnocrati, non i comunicatori, non la cosiddetta società civile, non i capipopolo. E nel desolato panorama europeo la signora Merkel è, nel bene e nel male, l’unico leader politico vero.
La cancelliera viene «dal freddo», non dal nulla. In fondo, era cristiano-democratica, come si poteva esserlo nella Germania dell’Est, fin dai tempi lontani dell’appartenenza alla Fdj, l’organizzazione giovanile della Sed. E si è guadagnata sul campo la leadership della Cdu: non la principale forza della destra europea, come pure si legge, ma (fino al 1992 assieme alla Dc italiana) il più grande partito popolare d’Europa. È anche questa storia — una storia che ha consentito in passato alla Cdu di essere protagonista della costruzione del capitalismo sociale di mercato tedesco e del modello europeo di Welfare — che Angela Merkel cerca di re-inverare (o di re-inventare), liberandola dagli orpelli del passato ma mantenendone l’ispirazione di fondo, in condizioni inedite, sconvolgenti, imprevedibili per i suoi predecessori.
Se è proprio di destra, o di centrodestra, o di moderati, che bisogna parlare, ebbene questo campo, in Europa, la Merkel lo ridisegna, mettendo in conto rotture, divisioni, resistenze. Non può giurare sul buon esito della sua svolta, e nemmeno sulla possibilità di governarla fino in fondo. Pensa però, e a ragione, che alzando muri non soltanto si perde la faccia, ma si sbatte la testa.
Si ironizza su un’Italia politicamente capovolta, in cui la destra che sino a ieri inneggiava alla Merkel ora la dipinge come un’egoista mascherata da benefattrice che si preoccupa solo di procurarsi forza lavoro qualificata a buon mercato e di contrastare il calo demografico tedesco, e la sinistra che, dopo averla rappresentata come la reincarnazione della volontà di potenza (per non dire di sopraffazione) tedesca, adesso ne esalta commossa la sollecitudine materna verso i dannati della terra. Ne ha detto benissimo Pierluigi Battista: chi scrive ha da aggiungere solo due considerazioni a margine. La prima. È vero, con la pallidissima eccezione di Parigi, e quella, tutta da verificare, di Atene, la sinistra non è al governo in nessuna capitale importante. Ma ci deve essere qualche motivo se, mentre i partiti socialdemocratici annacquano ogni giorno il loro vino, è una cristiano-democratica (una democristiana?) che guida il Paese incommensurabilmente più forte dell’Unione a giocare la carta dell’inclusione, prendendosi il plauso di Yoshka Fisher per la sua capacità di «socialdemocratizzare» la Cdu. Urge riflessione identitaria, e probabilmente molto di più. La seconda. In Europa cambia, o può cambiare, il passo della storia, si ridislocano le grandi forze in campo. Da noi, dopo vent’anni consumati nella contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo (che è cosa diversa da quella tra destra e sinistra), al centro del confronto e dello scontro, intemerate di Matteo Salvini e Beppe Grillo a parte, c’è l’articolo 2 della riforma del Senato. Non sarà che di grande politica avremmo molto bisogno anche noi?