venerdì 21 agosto 2015

Repubblica 19.8.15
Il sindacato
Un rapporto interno della confederazione conferma il crollo degli iscritti rispetto alla fine del 2014. Soffre in tutte le categorie e aumenta il peso dei pensionati
Perse 700 mila tessere Cgil abbandonata da giovani e precari
di Matteo Pucciarelli


MILANO. Sono sei pagine di tabelle fitte, suddivise per categorie e territori, a cura della Cgil nazionale, “area organizzazione”. Ma in prima pagina, in fondo, c’è il numero che ha fatto venire un brivido lungo la schiena ai dirigenti che hanno ricevuto il documento: rispetto alla fine del 2014, ad oggi, il sindacato “rosso” ha 723.969 iscritti di meno.
E va bene che la Confederazione di Corso Italia poteva comunque contare su 5,6 milioni di tessere — quindi si tratta di una perdita del 13 per cento — ma quel numero, per rendere l’idea, è quasi quanto gli abitanti della provincia di Genova. Che ieri c’erano e oggi non più. Un’emorragia che preoccupa e non poco i piani alti della Cgil, nonostante ci sia davanti tutto l’autunno per recuperare e nonostante il raffronto con lo stesso periodo del 2014 parli di un -110.917 iscritti. Che però sono il doppio (220.891) se si confronta giugno 2013 con giugno 2015.
Il primo grande male che affligge non solo la Cgil, ma il sindacato in generale, è lo strapotere delle categorie dei pensionati. I numeri della Confederazione lo confermano: al 1° luglio gli iscritti attivi, cioè i lavoratori, sono 2.185.099. A fronte di 2.644.835 di tesserati allo Spi. Ovvio che nel complicatissimo gioco di equilibri interni finisca per prevalere una visione ancorata più al passato, e questo per semplici ragioni anagrafiche. Ma il bacino finora sicuro dei pensionati si sta assottigliando pure quello: nel giugno 2013 i tesserati over erano 2.728.376, e qui — dicono dalla Cgil — c’entrerebbe molto la riforma Fornero che ha rimandato la pensione a centinaia di migliaia di persone. Va anche aggiunto che tra il dichiarato di Cgil, Cisl e Uil e il dato reale dell’Inps sui pensionati nel 2015 c’è una differenza di quasi un milione di iscritti. In meno.
Altro capitolo, le varie categorie prese singolarmente. Il Nidil, che in teoria dovrebbe rappresentare tutti gli atipici, quindi il fronte più ampio di possibile espansione, per ora ha il 48,8 per cento in meno di iscritti. Il commercio, la Filcams: -24 per cento. Gli edili, la Fillea: -21,4 per cento. Il ramo dell’agricoltura, la Flai: -20,6 per cento. Le tute blu della Fiom: -12,5 per cento, con le battaglie a viso aperto di questi ultimi anni che, controindicazione, hanno portato i 12mila iscritti del gruppo Fiat a poco più di 2mila.
E poi, i disoccupati: sugli oltre 5 milioni di iscritti, nel 2014 solo 15.362 erano i senza lavoro (e sono 8mila oggi). Insomma, ne esce fuori un quadro a tinte fosche: incapacità di entrare in contatto con i più giovani, gli stessi piagati dalla miriade di contratti precari; irrilevanza nel mondo di chi il lavoro per ora se lo sogna. Sono anni difficili per il sindacato, sotto ogni punto di vista. L’indice gradimento dell’istituzione in sé è ai minimi storici e l’attacco più forte in questi ultimi mesi è arrivato da dove uno meno se l’aspetta, cioè la nuova dirigenza del Pd. È anche per questo motivo che dopo ben sette anni la Cgil ha deciso di indire per il 17 e 18 settembre prossimi una “Conferenza di organizzazione” a Roma. Una sorta di check-up del sindacato, quattro temi fondamentali da prendere in esame: “contrattazione inclusiva”, “ democrazia e partecipazione”, “territorio e strutture”, “profilo identitario e formazione sindacale”.
Nino Baseotto è il membro della segreteria che ha in mano le chiavi della macchina organizzativa. Spiega che «sono numeri parziali, è troppo presto per commentare, il quadro sarà più chiaro ad ottobre. Facciamo questi conteggi più per motivi tecnici che altro». Ma non si nasconde nemmeno dietro a un dito: «Stiamo vivendo dei profondissimi mutamenti nella società e non possiamo rimanere quelli di sempre. Le persone tutelate dal contratto nazionale sono sempre di meno e diventa vitale rivolgerci a tutti gli altri ».
I luoghi di lavoro — ragiona — non sono più le aziende di una volta, la frammentazione e l’atomizzazione non aiutano a fare rete. La crisi poi ha ridotto del 20 per cento la capacità produttiva. «La sfida vera — continua Baseotto — è cambiare paradigma: da 20 anni si parla di flessibilità e deregolamentazione per creare lavoro. È vero il contrario. Servono investimenti pubblici, semmai». Per rinnovarsi, la Cgil ha sul piatto l’accorpamento di alcune categorie e il maggior coinvolgimento dei delegati nella vita stessa dell’organizzazione. Tradotto, più lavoratori e meno apparato.
Bisogna capire, ancora, quando entrerà in vigore l’accordo sulla rappresentanza firmato da Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. L’Inps entro giugno doveva inviare ai sindacati il numero esatto delle trattenute in busta paga, metodo infallibile per pesare le varie sigle in sede di contrattazione. Il problema è che le aziende non hanno comunicato il dato all’Inps, non essendo obbligate a farlo. Solo poco più di 5mila imprese hanno risposto alla sollecitazione.
«Di sfondo c’è anche un problema economico legato al tesseramento — sottolinea un altro dirigente della Cgil — e basti pensare che metà dei servizi, dal patronato Inca al servizio fiscale, non pareggiano i conti e sono in perdita. Lo stesso per le categorie del sud». Meno tessere uguale meno fondi. Uguale meno sindacato. E chissà, alla fine uguale meno diritti.