domenica 23 agosto 2015

Il Sole Domenica 23.8.15
Croce europeista liberale
Giuseppe Galasso evidenzia la duplice portata dell’opera dell’intellettuale, sia in termini
di delineazione del liberalismo nel Continente sia sul fronte della sua unificazione politica
di Giuseppe Bedeschi


Quando, nel 1932, Croce pubblicò la Storia d’Europa nel secolo XIX, il libro fece una profonda impressione non solo nelle élites culturali italiane, ma anche fuori d’Italia. Un grande studioso francese, Augustin Renaudet (storico di Machiavelli e del Rinascimento), lo definì un «libro forte». In America, Charles A. Beard (il famoso autore dell’interpretazione economica della Costituzione americana) scrisse che «colmo di anni e di onori, coraggioso e impavido nell’Italia fascista, Croce è una figura dominante nella storiografia contemporanea. [...]La molteplicità e varietà della sua opera testimonia della sua attività instancabile, della vastità del suo sapere, della ricchezza del suo spirito». E concludeva: «Finché Croce vive, l’Italia vive: la vecchia Italia del Rinascimento e di Mazzini. Benché abbia oltrepassato i sessantacinque anni, Croce cinge la corona dell’eterno mattino sulla sua fronte».
Sul significato della Storia d’Europa nell’itinerario intellettuale crociano si sofferma con considerazioni importanti Giuseppe Galasso, in un volume appena edito dall’Istituto Italiano per gli Studi Storici (per i tipi del Mulino), che raccoglie, a cura di Emma Giammattei, i saggi crociani (di vario argomento) dello stesso Galasso: La memoria. La vita. I valori. Itinerari crociani.
Giustamente Galasso sottolinea che il libro del 1932 è il primo testo di Croce in cui sia presente una prospettiva politica non solo europea, ma europeistica. Una prospettiva duplice, dice Galasso, poiché da un lato c’è la delineazione del liberalismo come unica sostanza politica viva e vitale nell’orizzonte dei popoli europei; dall’altro lato, c’è una prospettiva di unificazione politica dell’Europa come approdo dei conflitti nazionali nel Continente. Non bisogna dimenticare, del resto, che Croce scrisse la Storia d’Europa negli anni in cui sembrava aver successo la politica di pacificazione fra Germania e Francia portata avanti da Aristide Briand e Gustav Stresemann.
L’avvento al potere del nazionalsocialismo in Germania nel 1933, e tutto quello che ne seguì, avrebbe travolto le speranze di Croce. E se nell’Epilogo della Storia aveva scritto: «La guerra mondiale, se ha inasprito certi rapporti tra gli Stati a causa dell’iniquo e stolto trattato di pace che l’ha chiusa, ha accomunato nell’intimo loro i popoli che si sono sentiti, e sempre meglio si riconosceranno, eguali nelle virtù e negli errori, nelle forze e nelle debolezze, sottoposti a un medesimo fato, sospirosi nei medesimi amori, travagliati dai medesimi dolori, orgogliosi del medesimo patrimonio ideale»; tutt’altro tono, invece, egli userà nei Taccuini, dove, il 31 gennaio 1939, scriverà: «Ciò che veramente mi opprime è la condizione degli spiriti in Italia e fuori d’Italia; la menzogna, la malvagità e la stupidità in cui siamo come immersi e quasi sommersi; gli atroci delitti ai quali si assiste impotenti (come è ora la fredda spoliazione e persecuzione degli ebrei, nostri concittadini, nostri compagni, nostri amici [...])».
Galasso osserva giustamente che, in realtà, alla fine degli anni Trenta, il pensiero crociano era entrato in una nuova fase: quella della vitalità. Su questa nuova fase Galasso non si sofferma (lo aveva però già fatto nel suo libro Croce e lo spirito del suo tempo, 1990), e si limita ad affermare che essa è «fra le più innovative» nell’itinerario del filosofo. Affermazione sacrosanta: basti pensare che negli anni Trenta, scrivendo sul «cosiddetto irrazionale nella storia», Croce aveva insistito energicamente su un punto: e cioè che «la storia si scrive del positivo e non del negativo, di quel che l’uomo fa e non di quel che patisce». Certamente, egli diceva, positivo e negativo sono in correlazione fra loro, ma appunto per questo il negativo non entra nel quadro se non in questa correlazione e non può mai assurgere a soggetto suo proprio. E spiegava: «L’azione dell’uomo combatte credenze e tendenze avverse, le vince, le sottomette, le abbassa a sua materia e sopr’essa si innalza; e lo storico non perde mai di vista l’opera che si viene formando fra questi ostacoli, con questi sforzi e con questi mezzi; e anche quando quell’opera ha compiuto il suo ciclo vitale e decade e muore, egli appunta l’occhio non sulla decadenza e sulla morte, ma sulla nuova opera che in quella decadenza si prepara e già vi germoglia e crescerà in avvenire e darà frutti». Dunque, la storia era continuità-progresso.
Tutt’altro quadro Croce traccerà invece nella seconda metà degli anni Quaranta, dopo la tragedia della Seconda Guerra mondiale, e con la minaccia del totalitarismo sovietico incombente sull’Europa. Infatti, in un saggio intitolato La fine della civiltà, Croce iniziava con queste desolate parole: «Nel corso e al termine della seconda guerra mondiale si è fatta viva dappertutto la stringente inquietudine di una fine che si prepara, e che potrebbe nei prossimi tempi attuarsi, della civiltà o, per designarla col nome della sua rappresentante storica e del suo simbolo, della civiltà europea». Perché? Perché, rispondeva Croce, «talvolta i popoli civili si imbarbariscono, si rinselvatichiscono, si animalizzano o ridiventano bestie feroci, e tornano nella natura». Certo, una verità amara e difficile da accettare, questa, poiché a lungo si era tessuta l’illusione che la civiltà umana fosse «la forma a cui tende e in cui si esalta l’universo, e che la natura le faccia da piedistallo». Ma questa era appunto solo una illusione (nella quale aveva creduto anche Croce), un sogno senza fondamento. «E richiede uno sforzo penoso – aggiungeva il vecchio filosofo – passare alla diversa visione della civiltà umana come il fiore che nasce sulle dure rocce e che un nembo avverso strappa e fa morire»... Qui, come si vede, il «progresso» non era più qualcosa di assolutamente garantito dallo Spirito, la storia non era più razionalità (secondo il grandioso disegno hegeliano), e la civiltà dei popoli diventava qualcosa di instabile e di problematico, sempre esposta alla involuzione, alla decadenza e al tramonto.
Giuseppe Galasso, La memoria. La vita. I valori. Itinerari crociani, a cura di Emma Giammattei, il Mulino, Bologna, pagg. 550, € 60,00