sabato 29 agosto 2015

Il Sole 29.8.15
Emergenza immigrazione. Alle origini del boom di arrivi c’è la disgregazione degli Stati post-coloniali tra Levante, Medio Oriente e continente africano
Le tre rotte dall’Africa alla fortezza Europa
La lunga marcia attraversa regioni occidentali, Centrafrica e Corno per confluire sulle coste
di Alberto Negri


Per fermare le ondate dei rifugiati occorre prima di tutto fermare le guerre che assediano l’Europa e il Mediterraneo. L’esplosione delle migrazioni forzate ha la sua causa primaria nella disgregazione degli stati post-coloniali tra Levante, Medio Oriente e Africa, dove da anni si combattono conflitti e guerre per procura che coinvolgono le potenze regionali e quelle esterne, comprese l’Europa, gli Stati Uniti e i loro alleati. Ma frenare le migrazioni è forse un’idea illusoria: entro il 2030 l’Africa conterà un miliardo e mezzo di abitanti, diventeranno due nel 2050, e se a queste popolazioni non sarà offerto un ambiente sociale, economico e politico rispondente alle loro aspettative crescenti non ci saranno muri o fortezze che fermeranno questa enorme pressione.
Ecco perché il dibattito su come accogliere i profughi, e se accoglierli, corrisponde alla logica dell’emergenza ma non ha uno sguardo miope e senza futuro. Questa non è un’emergenza di oggi ma dei prossimi decenni: sarà un’altra forma della globalizzazione da aggiungere a quelle che già conosciamo. L’incognita è l’entità di quali saranno i flussi migratori mentre è quasi una certezza che sono state sconvolte le stesse categorie della migrazione. Da fenomeno di natura essenzialmente sociale ed economica le migrazioni hanno assunto un carattere internazionale, sono entrate di prepotenza nell’agenda della politica estera. Questa trasformazione è stata la conseguenza dei conflitti che circondano l’Unione europea, dalla Siria, all’Iraq, alla Libia, al fallimento di stati come la Somalia, l’Eritrea. La debolezza intrinseca dei Paesi che hanno attraversato le rivolte arabe del 2011, tra massacri e colpi di stato, li ha resi vulnerabili alla penetrazione dei jihadisti con frontiere disgregate e affondate nella sabbia. Intorno all’Europa c’è un “mondo ex”, come ai tempi della ex Jugoslavia, con nazioni che non esistono più come entità unitarie e popoli che aspirano a nuovi stati, basti pensare all’irredentismo dei curdi ai confini tra Turchia, Siria e Iraq.
Non troppo diverso è lo sguardo che ci offre il Mediterraneo. Tre sono i percorsi più battuti, l’occidentale, il centrale e l’orientale, diretti rispettivamente verso l’Africa dell’Ovest, il Centrafrica e il Corno. Sono queste le cinghie di trasmissione che trasportano, tra mille pene e sofferenze, uomini, donne, bambini, dal cuore dell’Africa fino a quello dell’Europa. Nell’Ovest africano incontriamo, Senegal, Guinea, Mali, Mauritania, Marocco. Nel corridoio centrale i popoli marciano da Camerun, Nigeria, Niger, per protendersi verso le coste libiche della Tripolitania da dove affrontano la traversata dei barconi in Italia. La terza via parte da Uganda, Somalia, Eritrea, Etiopia, attraversa il Sudan per dirigersi nell’oasi libica di Cufra per l’ultimo balzo verso la costa: qui profughi e migranti incrociano rifugiati siriani e iracheni.
È questo il popolo di una nazione senza frontiere, che non ha più uno Stato, né una patria da rivendicare: con muri e barriere l’Europa ricorda loro che questo è un continente ma non un’unione. E forse l’ora di stabilire un cambio di rotta prima di trovarsi con uno scheletro dell’Europa che avevamo immaginato.