Repubblica 11.7.15
L’economista Piketty ha ragione quando dice che la grande finanza produce squilibri sempre più insostenibili
Ma una suddivisione del lavoro più complessa ha spesso accompagnato anche il progresso
A ogni epoca storica la sua diseguaglianza dall’età della pietra al capitalismo globale
di Ian Morris
L’ECONOMISTA francese Thomas Piketty racconta di essersi stupito del fatto che il suo Il capitale nel XXI secolo sia diventato un bestseller internazionale. Ma è un’opera che tocca nervi scoperti: facevamo bene, dice Piketty, a preoccuparci di stagnazione dei salari e potere dell’1 per cento: la storia dimostra che «il capitalismo genera diseguaglianze arbitrarie e insostenibili che minano radicalmente i valori sui quali le società democratiche si basano». Questo solleva grandi questioni: quando la diseguaglianza diventa “troppa”? Esiste una “giusta” quantità di diseguaglianza?
Anche io cerco risposte a questi quesiti. Ma diversamente da Piketty credo che dobbiamo spingere la nostra analisi molto indietro nel tempo: alla fine dell’ultima era glaciale, 15 mila anni fa. Perché una prospettiva a lungo termine rivela con crudezza come ogni epoca abbia avuto la diseguaglianza di cui aveva bisogno.
Quindicimila anni fa gli uomini erano cacciatori che per sopravvivere al meglio vivevano in piccoli gruppi nomadi. Erano poveri ma uguali: secondo un calcolo moderno, il loro standard di vita equivaleva, in valuta del 1990, a circa 1.10 dollari al giorno. Le cose cambiarono con l’avvento dell’agricoltura, 11 mila anni fa. L’aumento della produzione di cibo portò a un boom demografico. I 6 milioni di cacciatori del 10 mila a.C. nell’1 a.C. erano diventati 250 milioni di agricoltori. I contadini furono fin dal principio più ricchi dei cacciatori, con uno standard di vita pari a circa 2,20 dollari al giorno. E siccome dovevano suddividersi il lavoro in maniera più complessa di prima la società si evolse: aristocratici e re emersero su contadini o schiavi dando il via alle diseguaglianza.
Un concetto, quello di diseguaglianza, che gli economisti misurano attraverso il “Coefficiente Gini”, scala da 0 a 1 dove 0 significa che in una società tutti i membri hanno la stessa ricchezza e 1 significa che la ricchezza è nelle mani di un singolo e gli altri non hanno nulla. Secondo gli antropologi, nella società dei cacciatori nomadi il coefficiente Gini era di 0,25. Ma nelle società agricole la diseguaglianza di reddito medio era il doppio, lo 0,45. Cifra che si conferma ai tempi dell’Impero romano (0,43) nell’Inghilterra del 1688 (0,47) e nella Francia pre-rivoluzionaria (0,59). Le cose cambiarono con la rivoluzione industriale: le fabbriche sfornarono enormi quantità di nuovi beni, emancipando l’uomo dalla fatica agricola e traghettandolo verso un’economia di servizi. La popolazione mondiale aumenta (nel 1800 eravamo 1 miliardo; oggi superiamo i 7)ed aumenta il reddito (dal 1800 a oggi di circa 10 volte).
La rivoluzione industriale ha comportato anche una suddivisione del lavoro più complessa, dove il libero mercato si è organizzato meglio dei governi: lo dimostra il fallimento di fascismo e comunismo. Le tensioni sociali sono però cresciute perché il potere economico e politico è finito nelle mani di chi si è specializzato nel fornire servizi basilari aumentando la diseguaglianza. Ma un’economia di mercato produce ricchezza solo se può contare su consumatori in grado di acquistare i suoi prodotti e servizi. Quando la diseguaglianza aumenta troppo la gallina dalle uova d’oro muore.
Come le società che ci hanno preceduto, insomma, abbiamo bisogno di basarci su un “giusto” livello di diseguaglianza. I buoni governi lo sanno e applicano le misure necessarie, tasse incluse, solo fino a quello che sanno essere il punto giusto. Che però è difficile da stabilire.
Nel 1970 le nazioni dell’Oecd, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sostennero che la diseguaglianza del reddito al netto delle tasse era ai livelli delle prime società nomade, con un valore Gini pari allo 0,26. Le difficoltà economiche dei decenni successivi dimostrano che era una cifra al ribasso ma la gente ci credette, e votò iper-conservatori come Reagan e la Thatcher che permisero ai ricchi di conservare ricchezze in percentuale maggiore dei poveri.
Nel 2012 in quegli stessi Paesi dell’Ocse la diseguaglianza media nel reddito al netto delle tasse è stata misurata allo 0,31; ma le attuali difficoltà economiche dimostrano che anche questo numero era sbagliato: al rialzo. Ma l’ascesa di partiti populisti fa capire che ancora una volta la gente ci ha creduto.
La storia degli ultmi 15 mila anni insegna dunque che il “giusto” livello di diseguaglianza del reddito al netto delle tasse si attesta tra lo 0,25 e lo 0,35, mentre quello della diseguaglianza sta tra lo 0,70 e lo 0,80.
Sono molti Paesi si collocano nella parte alta di questi valori o li superano: Thomas Piketty ha ragione a prevedere nuovi guai. Al tempo stesso è evidente che come l’agricoltura ha spazzato via i nomadi e la rivoluzione industiale ha cancellato il mondo rurale anche la nostra struttura sociale è al tramonto. Nuove fonti di energia, nuove tecnologie e lo spostamento verso spazi sempre più virtuali rischiano di fare del XXI secolo il momento di maggior rottura della Storia.
Se così fosse dobbiamo trarne una lezione: ciò che funziona bene in un’epoca può fallire in un’altra. Tra un secolo, il “giusto” livello di diseguaglianza nella nostra società industriale sarà irrilevante quanto oggi lo è il “giusto” livello di diseguaglianza nell’età della pietra.