martedì 14 luglio 2015

La Stampa 14.7.15
Cara mi costi
di Massimo Gramellini


Prima di trasferirsi a più alti incarichi dentro la bocca del leone, Roma, il procuratore della Repubblica di Catania ha apposto il timbro dell’ufficialità a una di quelle informazioni che conosciamo da sempre, ma fingiamo di dimenticare per non impazzire, mentre in un mondo meno sfinito del nostro giustificherebbero una sommossa popolare. Il dottor Salvi ha ricordato che quando gli sbarcati sulle coste siciliane si vedono negare lo status di rifugiati politici presentano subito ricorso per evitare il rimpatrio. Ma i ritmi della giustizia, paragonabili per frenesia e chiarezza a quelli di certi film iraniani sottotitolati in bulgaro, fanno sì che la loro richiesta, tecnicamente liquidabile in pochi minuti, venga esaminata con quattro anni di ritardo. Non si pensi a un’esagerazione: le domande del 2013 saranno valutate con la dovuta serenità nel 2017. Nel frattempo chi ha già in tasca un indirizzo amico sparisce nell’iperspazio europeo. Gli altri consumano la biblica attesa al centro Cara di Mineo, malamente accuditi a peso d’oro dai marpioni dell’industria della bontà, che si rifanno la coscienza, ma soprattutto la villa, a spese dei disperati migranti d’Oltremare e degli esasperati contribuenti dello stagno Italia.
Come sempre quando l’inefficienza del sistema mette in circolo tanti soldi, alla denuncia dell’alto magistrato farà seguito l’unanime sdegno delle forze politiche e l’impegno unanime a risolvere la questione al più presto, cioè mai. Ci venga almeno risparmiata l’ipocrisia di chi si scaglia contro l’arretratezza della giustizia indiana, che per giudicare i nostri marò si è presa i suoi tempi: gli stessi nostri.