La Stampa 10.7.15
Natura e tradizione. Il matrimonio omosessuale
La libertà e l’interesse dei figli
di Vladimiro Zagrebelsky
Nella discussione aperta dal giornale, il primo contributo, quello di Orsina, si svolge argomentando su due concetti fondamentali: Natura e Tradizione. Io dubito che essi siano tanto definiti, stabili e condivisi da assicurare un ancoraggio sicuro. Forse sono rassicuranti sul piano emotivo (che non voglio sottovalutare), ma non mi sembra possano andare oltre.
Innanzitutto mi chiedo se natura e tradizione si confondano, reciprocamente dandosi forza. La sovrapposizione dei due concetti è possibile, ai fini di questa discussione, solo se si accetta che anche la nozione di natura/naturale è relativa nel tempo e nello spazio, evolve, si modifica. Vi sono risultati della scienza in generale e in particolare di quella che riguarda il corpo umano che in tempi antichi sarebbero stati inimmaginabili o condannati come sfide ai limiti della natura, come quella di Icaro. Ancora recentemente - nel 1856, ieri, nella storia dell’umanità- la disumana schiavitù era ritenuta perfettamente costituzionale e conforme a natura dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Ne seguì una guerra civile che permise l’affermarsi dell’idea che naturale era invece l’eguaglianza e la libertà di tutti. Talora, ma non sempre l’evoluzione è da riportare a successi nell’imitazione della natura. Ad esempio certe tecniche di fecondazione oggi generalmente accolte con favore, non imitano, ma superano, aggirano e forzano la costituzione di persone che la natura ha reso sterili. E dunque oggi si ritiene e si sente naturale ciò che ieri (o oggi altrove) sarebbe certo stato bollato come innaturale. D’altronde ancora recentemente, per venire al tema, in diversi paesi europei i rapporti omosessuali erano ritenuti reato e puniti con il carcere.
La soluzione dei problemi del matrimonio omosessuale, del tenore della disciplina delle unioni omosessuali e dello scoglio insidioso rappresentato dall’adozione da parte della coppia omosessuale e dell’accesso di essa alle varie tecnologie riproduttive oggi disponibili, può trovare saldo ancoraggio in simili nozioni di natura e tradizione? Io non lo crederei, anche perché una volta ammessa la relatività della nozione di natura e del contenuto della tradizione, si è costretti a prendere atto che nelle nostre società europee ed anche in Italia, convivono più idee su ciò che sia naturale e più tradizioni, più culture, più religioni o convinzioni. Qualche anno fa la Corte europea dei diritti umani, dovendo decidere una causa riguardante la disciplina estremamente restrittiva dell’aborto esistente in Irlanda, si è avventurata su un terreno ad essa estraneo, affermando che quella regolamentazione, così diversa da quella prevalente in Europa, era però giustificata dal radicamento nelle «idee morali profonde del popolo irlandese». Argomento sotto diversi aspetti discutibile in una sentenza, ma che, ai fini nostri e non ostante la differenza di oggetto, potrebbe essere validamente messo in dubbio dal recente esito del referendum popolare sulla ammissione del matrimonio omosessuale. Attenzione dunque quando si richiamano tradizioni e culture attribuendole a interi popoli.
Quand’anche poi nel discorrere del contenuto di una nuova legge, fosse possibile riferirsi a stabili e maggioritarie tradizioni e nozioni di natura (e dando per dimostrato il loro valore in ogni caso positivo), occorrerebbe considerare che, nel definire una legge che permette e vieta a tutti, in materia di diritti e libertà la volontà della maggioranza incontra limiti anche in democrazia ed anzi proprio in democrazia. Limiti derivanti dal rispetto della libertà altrui di separarsi da stili di vita e tradizioni maggioritarie.
Ed è proprio della libertà altrui che occorre trattare, come ha fatto ieri Riotta entrando in questo dibattito, e non tanto del richiamo al principio di eguaglianza. Il principio di eguaglianza è violato quando si trattano diversamente situazioni eguali, così come quando si trattano egualmente situazioni diseguali. E’ evidente che la coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Ma fin dove e sotto quale aspetto è invece eguale? Questo è un quesito inevitabile e senza risposta certa, inequivoca, tale da essere da tutti accettata. Tanto più che la Costituzione e tutte le Carte dei diritti fondamentali vietano discriminazioni fondate sulla differenza di sesso. Prioritario è invece a mio parere l’approccio libertario, che muove dal rispetto della libertà altrui. In una società libera occorrono buone e forti ragioni per vietare, non per permettere. Nel mondo occidentale e nell’Europa di cui l’Italia è per fortuna parte integrante, non possono essere ignorate linee di tendenza che emergono chiaramente e ora abbattono velocemente divieti e tabù tradizionali. E molto si può comunque fare facilmente passando il confine, presentando poi a sindaci, ministri e giudici situazioni che chiedono soluzione e non ammettono il rifiuto di vederle. Le più o meno finte registrazioni che alcuni sindaci hanno effettuato di matrimoni omosessuali conclusi all’estero, sono lì a dimostrare l’insufficienza di una pura e semplice negazione.
In Italia la possibilità di un matrimonio tra persone dello stesso sesso è esclusa dalla Costituzione. E nessun obbligo di introdurlo deriva dalle Carte europee dei diritti fondamentali. Esse soltanto ne ammetto la possibilità. La Corte Costituzionale nel confermare che il matrimonio riconosciuto dalla Costituzione è quello eterosessuale, ha però affermato – in linea con il diritto europeo dei diritti umani - che il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo e delle formazioni sociali riguarda anche «la stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». E ha aggiunto che, per certi aspetti, la ragionevolezza può rendere necessario «un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». Ora è evidente che la legge italiana che regolerà le unioni non matrimoniali omosessuali riconoscerà una serie di assimilazioni alla disciplina del matrimonio. Ma il contrasto è profondo quando si considera la possibilità che la coppia omosessuale riconosciuta dalla nuova legge possa adottare, ovvero accedere alle tecniche che oggi le permettono la generazione di un figlio. Qui il conflitto è radicale e la posizione negativa argomenta richiamando l’interesse del figlio, il cui benessere e la cui armoniosa formazione sarebbe assicurata solo dalla vita in una famiglia che gli dia la presenza della figura paterna e di quella materna. Tendo anch’io a credere che questa sia la condizione preferibile, anche se conosciamo tremendi coniugi eterosessuali. Non è tuttavia dimostrato che il figlio delle coppie omosessuali patisca per il carattere della sua famiglia, anche se è possibile che il contesto sociale esterno reagisca sfavorevolmente, incidendo sulla integrazione di chi è sentito «diverso» per il fatto d’avere due padri o due madri. Qualcosa di simile al fenomeno ben noto che riguarda il figlio adottato, le cui fattezze esterne rivelano la diversa origine rispetto a quella dei genitori adottati. Ma come quest’ultima difficoltà sociale va scomparendo, anche quell’altra sarebbe destinata a essere superata. E comunque l’indisponibilità sociale ad accogliere la novità richiede alla società di evolvere nel rispetto degli altri. Ciò detto, quello che colpisce nell’argomento forte legato all’interesse dei figli è la comparazione che si fa tra la coppia eterosessuale e quella omosessuale, come se si trattasse di scegliere l’una o l’altra. Ma non è così. Il divieto di procreare imposto alla coppia omosessuale non indirizza verso una famiglia eterosessuale ritenuta preferibile, ma impedisce di nascere.