sabato 4 luglio 2015

Corriere 4.7.15
La metro C, i costi esplosi e l’appalto con 45 varianti
Cantone invia un dossier alla Corte dei conti
di Sergio Rizzo


Le premesse perché la faccenda della Metro C di Roma finisse alla procura della Corte dei conti c’erano tutte.
Non soltanto per una oggettiva questione di numeri: l’aumento dei costi di realizzazione, cresciuti di ben 692 milioni passando da 3 miliardi 47 milioni 424 mila a 3 miliardi 739 milioni 863 mila euro. Ma soprattutto per il modo in cui è successo. Progettazione carente: l’affidamento dei lavori è avvenuto sulla base della progettazione definitiva solo per le tratte più semplici, mentre per quelle del centro storico c’erano solo i progetti preliminari.
Soprattutto, indagini archeologiche assolutamente superficiali, che però non hanno impedito l’avvio di un appalto sempre più caro man mano che venivano a galla le sorprese. Quindi una cifra astronomica di varianti in corso d’opera (quarantacinque). Per non parlare di un contenzioso infernale. Questo è il referto finale, pubblicato ieri, dell’Autorità anticorruzione. Un documento tale da certificare anche il fallimento della legge obiettivo, che avrebbe dovuto garantire tempi e costi certi con la figura del general contractor.
E le premesse c’erano già dallo scorso novembre. Bastava leggere la prima delibera dell’authority presieduta da Raffaele Cantone, innescata dagli esposti del consigliere comunale di Roma Riccardo Magi e dell’ingegnere Antonio Tamburrino e da alcuni articoli, che aveva già spiattellato tutte le presunte magagne. Né le controdeduzioni presentate da Roma Metropolitane, la società del Comune che funge da stazione appaltante e dal consorzio Metro C che sta realizzando l’opera, hanno fatto evidentemente cambiare idea ai commissari dell’Anac. E le 44 pagine del loro rapporto hanno preso la via della Corte dei conti, dove il procuratore generale Salvatore Nottola le passerà ai raggi x.
Nel dossier firmato da Cantone si arriva perfino a esprimere perplessità sulla stessa continuità dell’appalto aggiudicato nel 2006 a un raggruppamento composto da Astaldi, Vianini del gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica. Si capisce chiaramente dal richiamo ai «soggetti coinvolti ad assumere ponderate decisioni circa il prosieguo dell’opera, atteso che per la tratta T2 (quella che dovrebbe attraversare il centro storico di Roma, ndr ) allo stato di fatto sono ancora concretamente da valutare tempi e costi di esecuzione nonché la stessa possibilità di realizzazione». La consegna della tratta in questione, secondo il programma originario, era prevista per il 21 giugno 2015: due settimane fa.
Sapevano benissimo tutti quanti, sostiene l’authority, ciò a cui andavano incontro. Sapevano che i ritrovamenti archeologici non potevano essere considerati come eventi di forza maggiore, bensì «circostanze insite nelle attività rimesse al contraente generale», il consorzio Metro C. Ciò nonostante le indagini preventive sono state superficiali. «Appare del tutto evidente», dice il rapporto, «come ciò abbia determinato una notevole aleatorietà delle soluzioni progettuali e, ad appalto già in corso di esecuzione, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni contrattuali». E pensare che la questione archeologica è assolutamente decisiva per l’attraversamento del centro storico, dov’è ora in discussione anche la realizzabilità delle uscite superstiti, dopo l’abolizione di quella di piazza Argentina mentre pure quella della Chiesa nuova è ormai data per defunta. Ed è chiaro che una metro senza stazioni non serve a nulla.
Ma nel dossier pubblicato ieri l’Anac tira in ballo anche i 65 milioni riconosciuti da Roma Metropolitane, al general contractor Metro C come «oneri inerenti» la stessa funzione di general contractor. Denari secondo l’authority già compresi contrattualmente, che sono però diventati ugualmente oggetto di uno sventurato arbitrato. Al termine del procedimento quegli oneri sono stati riconosciuti non soltanto per il passato, ma sorprendentemente anche per il futuro.
Il rapporto non risparmia neppure le modifiche contrattuali andate tutte a vantaggio del consorzio, al quale è stato concesso di ridurre dal 20 al 2 per cento gli oneri di prefinanziamento dell’opera. E non manca di sottolineare come le valutazioni dei soggetti deputati a esaminare fondatezza, ammissibilità e quantificazione economica delle riserve che hanno contribuito a far esplodere i costi non sempre siano state così attente e rigorose. Ma guarda un po’…